Ma di fronte ai dati evidenti della compromissione dello stato di salute e al lungo silenzio dell’autorità sanitaria nazionale e locale, accanto a questa consapevolezza la popolazione ha sviluppato una percezione diffusa di grave inadeguatezza delle risorse e di una forte disparità nell’offerta di prestazioni per la salute che rende complesso il rapporto con il sistema sanitario pubblico. In una situazione così alterata, c’è la necessità di programmi di salute. È bene che il servizio sanitario faccia ciò che la sanità pubblica generalmente dovrebbe fare, specie nelle aree più compromesse e a maggiore deprivazione sociale, per esempio:

  1. rafforzare tutti gli interventi di prevenzione primaria di provata efficacia (cessazione del fumo, programmi di controllo alimentare, riduzione della obesità e del rischio cardiovascolare);
  2. rafforzare tutti gli interventi di prevenzione secondaria di provata efficacia (screening dei tumori del collo dell’utero, della mammella e del colonretto);
  3. rafforzare le strutture territoriali per l'ascolto e l’assistenza;
  4. evitare il ricorso a programmi di screening o altri interventi di efficacia non dimostrata.

Detto questo, non bisogna cadere in equivoci: E&P sostiene da sempre che occorre evitare qualunque ambiguità tra prevenzione primaria e prevenzione secondaria o diagnosi precoce (anche quella evidence-based). Se si vuole essere realistici, è un dato di fatto che molta della patologia causata dall'inquinamento dell’ILVA (e dalle altre aziende inquinatrici) non si presta a misure di screening rivolte a soggetti asintomatici, intese ad anticipare la diagnosi di patologie latenti. L'inquinamento rilevato a Taranto non aumenta il rischio delle forme tumorali per le quali esistono protocolli di screening di dimostrata efficacia e per la cui prevenzione comunque esistono programmi di respiro nazionale. E per quanto riguarda altre patologie croniche, come la patologia cardiocircolatoria e respiratoria, esistono misure per le quali sono disponibili protocolli raccomandati sul piano internazionale, la cui offerta richiede tuttavia una programmazione attenta e responsabile. Non vorremmo che la tragedia di Taranto si convertisse in un ennesimo episodio di sfruttamento della (malposta) aspettativa delle vittime sfociante in forme di sorveglianza sanitaria inappropriata.

Una delle prime azioni da intraprendere, invece, è la realizzazione della necessaria sorveglianza ambientale ed epidemiologica. Occorrono indagini accurate e molto approfondite, che sappiano rispondere nel modo più esaustivo alla complessità dei problemi sollevati dai primi studi compiuti attorno agli stabilimenti del polo siderurgico. L’esperienza insegna che risposte parziali rischiano di lasciare spazio all’inerzia.

Non solo: alla popolazione che per anni ha subito esposizioni dannose e che oggi mostra una capacità di reazione ed elaborazione molto forte non si può negare ancora una volta di essere protagonista delle decisioni riguardanti la tutela della propria salute, occorre quindi fin da subito progettare vere opportunità di comunicazione e reale partecipazione.

Per dare qualche suggerimento concreto, abbiamo chiesto ad Annibale Biggeri e Francesco Forestiere, consulenti del GIP Parizia Todisco del Tribunale di Taranto, di descrivere ai lettori di E&P i provvedimenti presentati il 30 marzo 2012 durante l’incidente probatorio nel corso del procedimento riguardante l'Ilva di Taranto, e a Bruna De Marchi di illustrare concetti e strumenti messi a punto in ambito sociologico in occasione di precedenti disastri ambientali (di origine industriale o naturale), per non cadere negli errori del passato e per evitare dannose ‘soluzioni’ calate dall’alto.

Speriamo in questo modo di arricchire il dibattito su questi temi e di fornire qualche riflessione e qualche impulso innovativo alle azioni da intraprendere.


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