Riassunto

L’approfondimento è dedicato all'articolo «The impact of migration in all-cause mortality: the Turin longitudinal study, 1971-2005» di Rasulo D, Spadea T, Onorati R, Costa G. Soc Sci Med 2012; 74(6): 897-906. Epub 2012 Jan 17.

SCHEDA dello studio

The impact of migration in all-cause mortality: the Turin longitudinal study, 1971-2005

Rasulo D, Spadea T, Onorati R, Costa G.

Soc Sci Med 2012; 74(6): 897-906. Epub 2012 Jan 17

Sintesi

Diversi studi hanno affrontato il tema delle differenze di mortalità che si riscontrano tra migranti da diversi Paesi e popolazioni autoctone. Ovviamente, quando si parla di migrazioni interne ci si attende di trovare minori differenze, in quanto all'interno di un singolo Paese i fattori che determinano i profili di mortalità sono normalmente distribuiti in modo più uniforme. Non così in Italia. Nella Penisola infatti sono presenti due tipi di gradienti molto marcati: uno geografico, tra Nord e Sud (con il primo a detenere i tassi più alti tra gli uomini e il secondo quelli per le donne) e uno legato al grado di urbanizzazione, in cui la mortalità aumenta passando dalle zone rurali a quelle industriali.

In Italia, gli intensi flussi migratori interni che hanno caratterizzato i decenni tra la fine della Seconda Guerra Mondiale e gli anni settanta si sono sviluppati proprio secondo la direttrice che dal Meridione d'Italia e dalle aree rurali del Nord portava verso la parte Nord-occidentale della Penisola. Allora perché non utilizzare il bagaglio teorico derivato dagli studi sulle migrazioni internazionali (ipotesi del "migrante sano", importanza dell'età all'arrivo nel luogo di migrazione etc) alla migrazione interna in Italia, dal momento che sono identiche sia le motivazioni che spingono le persone a emigrare (la ricerca del lavoro) sia le difficoltà che costoro devono affrontare?

E quale area migliore per uno studio delle differenze di mortalità tra migranti interni e nativi della città di Torino? Il capoluogo piemontese infatti non solo è stato per decenni meta di un'intensa immigrazione sia dal Sud sia dalle aree rurali del Nord, ma dispone anche di un'ampia base di dati raccolta dallo Studio Longitudinale Torinese (SLT), unico nel contesto italiano, che contiene informazioni su tutta la popolazione della città a partire dal 1971.

Utilizzando i dati forniti dallo SLT e analizzando la mortalità della popolazione torinese per il periodo 1971-2005 gli autori concludono che:

  1. l'effetto "migrante sano" esiste anche nel caso delle migrazioni interne, ma solo per chi emigra prima dei 45 anni di età;
  2. i vantaggi di salute si perdono più rapidamente tra i più giovani;
  3. nelle coorti di nascita più recenti l'effetto migrante sano sembra più sfumato.

Obiettivi dello studio

Quattro sono le domande a cui questo studio si propone di dare risposta:

  1. Gli immigrati italiani nella città di Torino hanno tassi di mortalità inferiori rispetto ai locali?
  2. Il profilo di mortalità varia a seconda dell'età di arrivo?
  3. Il tasso di mortalità tra gli immigrati aumenta con l'aumentare degli anni di residenza a Torino? E, se sì, il diluirsi del vantaggio di salute del migrante muta a seconda dell'età di arrivo?
  4. Infine, esiste una interazione significativa con le coorti di nascita?

Metodologia

I dati sono stati raccolti dallo studio SLT, che collega le informazioni derivate dai Censimenti nazionali con gli eventi sanitari registrati a Torino e riguarda tutti gli abitanti della città, non un campione di popolazione.

Per coprire il periodo di maggiore intensità dei flussi migratori interni la popolazione studiata comprende gli immigrati arrivati a Torino tra l'1 gennaio 1945 e il 24 ottobre 1971 (data del censimento).

La ricerca ha quindi studiato la mortalità in questa popolazione dal censimento del 1971 fino al 31 dicembre 2005.

Risultati

Nel 1971 Torino contava 418.575 residenti di età compresa fra 30 e 74 anni, il 71% dei quali immigrati.

Un primo dato significativo è che nel periodo analizzato nello studio (1971-2005) gli immigrati, considerati nel loro insieme, sopravvivono più a lungo rispetto ai nativi (HR=0,88 per i maschi, 0,89 per le femmine). Approfondendo l'analisi si scopre che:

Luogo di nascita - I maschi provenienti dal Sud e le donne originarie del Nord sono più longevi rispetto alle loro controparti locali: il rischio di morte per ambedue questi gruppi è del 14% più basso rispetto ai locali.

Età all'arrivo - Dagli studi sulle migrazioni internazionali emerge che la minore mortalità riscontrata tra le popolazioni immigrate rispetto a quelle autoctone è spiegata dal cosiddetto effetto "migrante sano": a emigrare sono gli individui più in buona salute nelle popolazioni di origine, perché devono essere in grado non solo di lavorare, ma anche di sopportare i disagi del processo di migrazione. Questo vantaggio di salute però diminuisce con l'aumentare dell'età dell'immigrato al suo arrivo.

Anche a Torino, gli immigrati giunti in città prima dei 44 anni di età hanno un rischio di morire inferiore rispetto ai nativi (-22% per quelli emigrati prima di compiere 30 anni, -16% per quelli stabilitisi in città tra i 30 e i 44 anni), mentre se si considerano i più anziani (oltre i 44 anni) il rischio è addirittura più alto.

Lunghezza della permanenza - Gli studi sulle migrazioni internazionali hanno messo in luce che con il passare degli anni il vantaggio di salute dell'immigrato tende a diluirsi, probabilmente per l'intrecciarsi di fattori ambientali e socio-economici (dieta, stili di vita, difficoltà economiche, scarso supporto sociale nei momenti di bisogno) e che questo effetto può variare sia in base all'età dell'arrivo nel luogo di migrazione sia in base alla data di nascita.

Un fenomeno che è stato verificato anche nella popolazione esaminata in questo studio:

  • per tutti gli uomini arrivati in città prima dei 45 anni di età il vantaggio di salute decresce con il passare degli anni: se nei primi 19 anni di residenza si mantiene un tasso di mortalità inferiore del 23% rispetto ai nativi, dopo 39 anni questo si riduce al 5%. Va tuttavia notato che i più giovani, quelli immigrati a un'età tra i 15 e i 29 anni, perdono più rapidamente il vantaggio di salute iniziale;
  • le donne mantengono più a lungo il loro vantaggio in tutte le classi di età rispetto ai coetanei maschi immigrati;
  • gli immigrati, maschi e femmine, giunti a Torino dopo aver compiuto 44 anni vedono assottigliarsi più velocemente il differenziale di mortalità rispetto ai nativi;
  • mantenendo fissa l'età all'arrivo, gli immigrati nati nel periodo 1896-1921, sia uomini sia donne, sono quelli che perdono più lentamente il vantaggio di salute originario.

Conclusioni

Sono state avanzate diverse ipotesi per spiegare la minore mortalità degli immigrati rispetto alla popolazione autoctona, ma quella che sembra più adatta a spiegare i risultati ottenuti in questo studio è la già accennata "ipotesi del migrante sano".  Tuttavia, se si approfondisce l'analisi si scopre che i differenziali di mortalità tra immigrati e nativi sono in realtà molto più complessi.

Si prenda l'effetto dell'età all'arrivo, secondo il quale gli immigrati più anziani mostrano un tasso di mortalità addirittura superiore a quello dei locali: come spiegarlo? Si può ipotizzare che gli immigrati più anziani siano arrivati a Torino per motivi diversi dalla ricerca del lavoro, ma piuttosto per ragioni di salute, per stare più vicino alla famiglia in modo da essere seguiti e curati.

Per quanto riguarda l'influenza della lunghezza della permanenza in città, si può pensare che man mano che passano gli anni fattori di tipo sociale, culturale e ambientale agiscano in modo da diminuire il vantaggio di salute iniziale: cattive condizioni socioeconomiche, lavori usuranti (la maggior parte degli immigrati a Torino era impiegata in lavori manuali e poco qualificati), l'abitudine a consumare cibo meno sano, l'inquinamento atmosferico sono tutti fattori che concorrono a peggiorare le condizioni di salute e ad aumentare la mortalità.

Ma perché i maschi più giovani perdono più velocemente il proprio vantaggio di salute? Una possibile spiegazione è che i più giovani, spesso non sposati, tendono a integrarsi più in fretta nel nuovo ambiente e ad adottare, rispetto agli immigrati più adulti e con una famiglia a carico, stili di vita meno sani che con il trascorrere del tempo si traducono in una perdita più veloce della salute.

Resta il fatto che, per tutti gli immigrati, dopo 40 anni di residenza a Torino il vantaggio di salute nei confronti dei nativi si perde completamente. Una considerazione a parte va fatta però per le donne: dopo 20 anni di residenza in città tra le immigrate si registra un tasso di mortalità, sempre rispetto ai nativi, più basso dei loro coetanei maschi.

Con questa ricerca per la prima volta, nell'ambito delle migrazioni sia interne sia internazionali, si sono esaminati i tassi di mortalità degli immigrati considerando sia la lunghezza della permanenza sia l'età all'arrivo da una prospettiva di studio longitudinale. La stratificazione in base a questi parametri ha permesso di interpretare al meglio le differenze di mortalità tra immigrati e nativi, rilevando alcuni effetti spuri che emergono quando si analizza la sola lunghezza della permanenza.

Questo lavoro quindi indica la via maestra per progettare ulteriori studi. E offre alcuni strumenti utili per interpretare, e magari anticipare, i bisogni di salute delle nuove generazioni di migranti giunti in Italia dall'estero. Persone che spesso provengono da Paesi in via di sviluppo e che, rispetto ai  migranti interni, hanno dovuto affrontare viaggi ancora più pesanti e rischiosi e una maggiore difficoltà di adattamento al nuovo ambiente.

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