La comunicazione in sanità, come in molti altri settori, è essenziale ma lo è ancora di più nella attuale situazione di epidemia da Covid-19. È opportuno descrivere l’agente infettivo, è importante spiegare come ci si contagia e come ci si può proteggere, è essenziale comunicare come l’epidemia si sta diffondendo e quali ne sono le conseguenze.

La comunicazione in sanità, come in molti altri settori, è essenziale ma lo è ancora di più nella attuale situazione di epidemia da Covid-19. È opportuno descrivere l’agente infettivo, è importante spiegare come ci si contagia e come ci si può proteggere, è essenziale comunicare come l’epidemia si sta diffondendo e quali ne sono le conseguenze.

In particolare, rispetto a quest’ultimo aspetto della comunicazione, non vorremmo qui tanto analizzare come vengono raccolti e trasmessi i dati da parte delle Regioni, del Ministero, dell’Istituto Superiore di Sanità o dalla Protezione Civile, suggerendo, come altre volte già fatto, spunti per un miglioramento ed un completamente informativo.

Vorremmo invece ragionare come i dati vengono interpretati e “maltrattati” dai media che li trasformano spesso in informazioni scorrette e confondenti. Non pensiamo che questo accada per malafede ma solo per leggerezza nel trattare una materia, l’epidemiologia, di cui molti comunicatori non hanno la necessaria pratica.

Le classifiche dei numeri assoluti

Se ascoltassimo un telegiornale della sera del 1° dicembre sentiremmo dire che la Lombardia è la regione con più nuovi positivi, esattamente 4.048 seguita dal Veneto con 2.535 e dal Lazio con 1.669 e in figura 1a è riportata la classifica delle Regioni per numero di casi diagnosticati il 1° dicembre:

Figura 1a: numero di nuovi positivi certificati il 1° dicembre
sul sito della Protezione Civile

Questa figura da una impressione immediata che in Lombardia l’epidemia sia molto più estesa che altrove e che ad esempio sia al 3° posto il Lazio mentre il Friuli può star tranquillo essendo “a metà classifica”.  Ma la classifica risente quasi del tutto dall’ampiezza demografica delle Regioni ed è ovvio che a parità della diffusione del contagio una Regione con il doppio di abitanti di un’altra avrà il doppio di positivi di questa. Non ha senso allora comunicare la frequenza assoluta bensì si dovrebbe comunicare l’incidenza giornaliera dividendo il numero dei positivi per il numero degli abitanti come in figura 1b.

Figura 1b: numero di nuovi positivi certificati il 1° dicembre ogni 100.000 abitanti

La Lombardia scivola al 4° posto, il Friuli al 1° con una incidenza doppia del Lazio pur avendone la metà dei positivi in numero assoluto. Il concetto è banale ma se si comunica il numero assoluto è impossibile per chi ascolta capire dove vi sia maggior densità di casi.

La ciclicità intra settimanale dei casi

Nei giorni dal 30 novembre al 4 dicembre le frequenze di positivi sono notevolmente aumentate come riportate in figura 2a: da 16.377 a 24.099, 7.722 casi in più pari al 47% del 30 novembre. L’informazione che è stata per lo più data è quella di un incremento importante e l’immagine che ci si sarebbe potuti fare è quella di figura 2b, con una crescita che avrebbe portato, se non arrestata, a quasi 50.000 casi a metà dicembre.

Figura 2a: positivi al giorno dal 30/11 al 4/12

 

Figura 2b: proiezione lineare sino al 15 dicembre          

Ma il 30 novembre era lunedì e la comunicazione dei casi da parte della Protezione Civile risente sempre di una forte ciclicità intra settimanale con il minimo al lunedì ad il massimo al giovedì e venerdì. Questa ciclicità la si osserva sia per le frequenze dei positivi che per il numero di tamponi effettuato come si può vedere in figura 3.

Figura 3: ciclicità intra settimanale del numero giornaliero di positivi e di test molecolari (18/10-12/12)

Questa ciclicità, seppur non così regolare, la si osserva però anche in altre serie dei dati dell’epidemia come ad esempio nel numero giornaliero di deceduti. (vedi figura 4)

Figura 4: ciclicità intra settimanale del numero giornaliero di decessi (18/10-12/12)

Queste variazioni non sono solo dovute ai ritmi settimanali di lavoro nei servizi sanitari e nei laboratori, variazioni che non dovrebbero riguardare il numero di decessi,  ma sono soprattutto dovute ai ritmi di trasmissione dei dati che risente di rallentamenti significativi durante i fine settimana.

Considerando le variazioni di ciclo e di trend i dati di figura 2a e 2b assumono tutt’altro significato come mostrato in figura 5a e 5b.

Figura 5a: casi positivi al giorno dal 30/11 al 15/12

Figura 5b: regressione lineare delle frequenze dei casi positivi

Quello che poteva sembrare un trend in decisa crescita invece si presenta in realtà come in leggere diminuzione. Per queste ragioni non è opportuno segnalare semplicemente le variazioni giornaliere, magari interpretandole come indicatori di trend; sarebbe invece utile affiancarle agli andamenti delle medie mobili settimanali come mostrato sia per i positivi che per i decessi nelle figure 6a e 6b.

Figura 6a: casi positivi al giorno dal 15/10 al 15/12

Figura 5b: decessi al giorno dal 15/10 al 15/12

L’indice di positività

Un altro indicatore molto usato dai media nelle loro presentazioni è il cosiddetto indice di positività, cioè la percentuale di test diagnostici che hanno dato esito positivo; il suo andamento dal 15/10 al 15/12 è riportato in figura 7.

Questo indice presenta delle grosse criticità. Il numero dei tamponi, innanzitutto, comprende almeno due tamponi a testa per ogni soggetto nella fase diagnostica e comprende anche i tamponi utilizzati per valutare la negatività dei soggetti in fase di guarigione, e quindi non vi è esatta corrispondenza tra numeratore e denominatore.

Ma la criticità maggiore è data dal fatto che la strategia di scelta dei soggetti da sottoporre a test molecolare cambia molto da settimana a settimana. Ci sono periodi in cui sono più frequenti i tamponi eseguiti ai soggetti sintomatici ed in altri invece vengono effettuate campagne di screening anche a soggetti asintomatici vuoi a rischio perchè contatti di soggetti positivi vuoi perché a rischio per attività pericolose vuoi perchè se ne vuole semplicemente verificare la non contagiosità.

Ultimamente poi l’uso di test diversi dal test molecolare come i test sierologici e soprattutto i test rapidi antigenici hanno fatto sì che i soli soggetti positivi a questi poi chiedono conferma con un test molecolare mentre non lo fanno se invece risultano negativi ai primi. I dati dei tamponi pubblicati riguardano per delibera ministeriale solo i test molecolari e se cambiano le probabilità di essere positivi in coloro che vi sottopongono, allora può cambiare considerevolmente la percentuale risultante di positività. Questo indice sarebbe bene trattarlo come si dice “con le molle” perché è molto facile scottarsene.

Mortalità e letalità

Anche per gli indicatori dei decessi è facile dare informazioni non aderenti alla realtà. Il tasso di mortalità è il rapporto tra il numero di deceduti per Covid-19 in un certo lasso di tempo, e la popolazione media del periodo stesso. La letalità invece è la percentuale di casi che dopo un certo periodo di giorni muore; si distingue però il cosiddetto CFR (Case Fatality Rate) che pone al denominatore i casi diagnosticati e l’IFR (Infections Fatality Rate) dove al denominatore dovrebbero porsi tutti i soggetti infetti anche se non diagnosticati. È chiaro che l’IFR può solo essere stimato ma non calcolato in quanto ovviamente non si possono contare gli infetti con diagnosticati ma solo ipotizzarne il numero.

I problemi di come calcolare la letalità sono in parte del tutto simili a quelli della positività in quanto il numero dei casi dipende in larga misura anche dalle strategie diagnostiche tramite tampone molecolare. La crescita, ad esempio, del CFR dal valore 2% al valore del 3% e più, iniziata con i primi giorni di dicembre, fa ritenere che tra i soggetti considerati positivi siano diminuiti da questa data diversi positivi asintomatici proprio per la presenza dei test antigenici che allontanano dall’esecuzione del test molecolare i soggetti risultati negativi all’antigenico stesso.

Un altro aspetto di comunicazione erronea è quella di riferire il rischio di decesso al giorno stesso in cui sono avvenute le morti. Invece per calcolare il CFR si deve utilizzare come denominatore la somma dei casi positivi da cui provengono i soggetti deceduti. Si può calcolare che la latenza media tra notifica di positività e notifica di decesso sia di circa 13 giorni, per cui per un calcolo meno grossolano si deve rapportare il numero dei decessi al numero di positivi di 13 giorni antecedenti. Il grafico di figura 8 mostra l’andamento della media mobile settimanale dei decessi con le linee del 1,5%, 2%, 2,5% e 3% dei positivi di 13 giorni precedenti.

Figura 8: trend della media mobile dei deceduti e di diverse % di positivi di 13 giorni precedenti

Per tutti questi motivi è molto scorretto trattare le variazioni del numero di decessi come se indicassero miglioramenti o peggioramenti del giorno stesso in cui si sono verificati e non di due settimane precedenti.

Variazioni dell’indice di contagiosità o di replicazione diagnostica

L’epidemia da Covid-19 ha reso “popolare” un indice usato nel campo della epidemiologia delle malattie infettive, cioè l’indice Rt chiamato anche indice di contagiosità che esprime il numero di contagiati prodotti da ogni contagiante.

Noi abbiamo messo a punto un indice molto simile, l’RDt o indice di Replicazione Diagnostica, che dice quante diagnosi di positività vengono fatte rispetto a quelle avvenute determinati giorni prima, in particolare, come per l’Rt , 7 giorni prima corrispondenti al periodo di incubazione dell’infezione [/intervento/rt-or-rdt-question]. Questi indici hanno valori superiori ad 1 quando l’epidemia si espande e minori di 1 quando si contrae e più si discostano da 1 più l’espansione o la contrazione sono rapide.

In questo caso l’errore di comunicazione è quella di assegnare un significato sbagliato all’aumento dell’indice per valori inferiori ad 1 come se l’epidemia aumentasse. Se l’indice aumenta ma non supera il valore 1 significa comunque che i casi stanno diminuendo, seppur più lentamente

Se poi invece i casi aumentano o diminuiscono in modo moltiplicativo con la stessa ragione allora l’indice RDt (ma anche l’Rt) rimangono del tutto costanti come illustrato in figura 9 e sarebbe una informazione davvero molto scorretta se si dicesse che niente sta cambiando dato che l’indice RDt non cambia!

 

Figura 9a: RDt di una crescita esponenziale  

Figura 9b: RDt di una decrescita esponenziale

In alcuni giorni si è ascoltato o si è letto che vi era preoccupazione perché “l’indice Rt ha ripreso ad aumentare”. In realtà se l’indice rimane sotto alla soglia 1 un aumento significa solo un rallentamento della diminuzione e non certo un aumento. Il significato epidemiologico dell’indice Rt o dell’indice RDt sfugge al pubblico e spesso anche a chi ne parla o ne scrive e sarebbe quindi meglio lasciarlo all’uso di chi ne sa cogliere correttamente il significato.

In conclusione …

In conclusione, è molto importante comunicare bene alla popolazione l’evoluzione dell’epidemia ma il rischio spesso è di farlo senza avere sufficiente dimistichezza con gli strumenti metodologici necessari.

Sarebbe perciò importante che chi vuole scrivere sull’argomento si aggiorni ovvero chieda aiuto ad un epidemiologo per rivedere i propri testi. Il problema non è tanto quello di compiere errori formali ineleganti ma piuttosto di dare informazioni sbagliate o contrastanti.

Chi non conosce del tutto la materia sarebbe bene che si limitasse ad usare uno schema comunicativo semplice e ripetitivo e già verificato con un esperto. È importante che siano i giornalisti a dare informazioni su quanto sta accadendo anche perché spesso i medici non sanno essere dei buoni comunicatori ma è importante che la buona comunicazione sia anche una corretta comunicazione, e questo i giornalisti lo sanno ma talvolta lo dimenticano.

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