Riassunto

Le definizioni di vulnerabilità, suscettibilità e fragilità, alla cui correlazione con la salute è dedicato questo numero monografico di Epidemiologia&Prevenzione, hanno bisogno di essere chiarite da molti punti di vista: il costrutto concettuale a cui si riferiscono, la loro definizione operativa, i metodi di studio e le implicazioni operative per le politiche.

Uscire dall’ambiguità alla ricerca di un inquadramento concettuale condiviso

Le definizioni di vulnerabilità, suscettibilità e fragilità, alla cui correlazione con la salute è dedicato questo numero monografico di Epidemiologia&Prevenzione, hanno bisogno di essere chiarite da molti punti di vista: il costrutto concettuale a cui si riferiscono, la loro definizione operativa, i metodi di studio e le implicazioni operative per le politiche.

Nella letteratura e nella pratica di sanità pubblica si utilizzano in modo intercambiabile aggettivi come vulnerabile, suscettibile e fragile senza un preliminare consenso sul loro significato, soprattutto in riferimento alle malattie croniche e ai modelli assistenziali che le riguardano. Questa confusione si riflette anche nell’agenda di chi si occupa di politiche per ridurre le disuguaglianze di salute, dove l’aggettivo viene utilizzato vuoi per spiegare i meccanismi che intermediano gli effetti sfavorevoli sulla salute dello svantaggio sociale vuoi per identificare operativamente gruppi di persone meritevoli di un’attenzione prioritaria da parte delle politiche. Una confusione che continua anche nell’epidemiologia, che parla di vulnerabilità per intendere a volte una modificazione di effetto e a volte un’inedita concentrazione di esposizione a fattori di rischio.

Questo intervento intende proporre in modo esplicito una possibile definizione di questi concetti con lo scopo pragmatico di facilitarne l’inquadramento in uno schema esplicativo utile per formulare le domande di ricerca e per giustificare la scelta delle azioni efficaci in questi tre domini: sanità pubblica, epidemiologia e politiche non sanitarie. Quando possibile, si farà anche riferimento a teorie consolidate, ma bisogna ammettere che questi tre domini non si sono ancora preoccupati di trovare un inquadramento concettuale condiviso, per cui è necessario essere pragmatici e provare a proporre definizioni che possano essere almeno pragmaticamente utilizzate per capirsi. È un invito a cui Barbara Pacelli non si sarebbe sottratta, soprattutto perché in questo modo l’epidemiologia potrebbe aiutare la società in generale e le comunità locali a orientare le politiche di salute verso l’equità, massima aspirazione di Barbara.

Vulnerabilità, suscettibilità e fragilità nella programmazione sanitaria

Nell’agenda della sanità pubblica italiana, il Piano nazionale cronicità (PNC) e il Piano nazionale di prevenzione (PNP) hanno riportato alla ribalta questi concetti, considerandoli necessari per riorientare la prevenzione e l’assistenza alle malattie croniche verso priorità giustificate e soluzioni appropriate, al seguito di modelli ben affermati a livello internazionale come il Chronic Care Model,1 Integrated Community Prevention and Care.2 Un mandato specifico del PNC e del PNP è di stratificare la popolazione sulla base del rischio di malattia cronica, in modo da consegnare agli stakeholder soluzioni personalizzate sulla base del rischio: soluzioni di prevenzione, soluzioni di automedicazione, percorsi diagnostico-terapeutici e assistenziali. Molti epidemiologi sono stati interpellati dalle loro Regioni per costruire algoritmi previsionali del rischio su cui fondare la stratificazione. Recentemente, l’ultimo dei decreti governativi per l’emergenza Covid-19 ha anche legittimato questo trattamento dei dati individuali per scopo predittivo.

Gli algoritmi di stratificazione del rischio di cronicità analizzano la storia individuale di tutti gli eventi sanitari tracciabili nei sistemi informativi sanitari delle Regioni per denotare retrospettivamente le malattie croniche e le limitazioni funzionali e sociali di cui ogni assistito del servizio sanitario regionale è portatore e per valutarne prospetticamente le ricadute sulla storia sanitaria della persona (dal ricorso evitabile ai servizi fino al rischio di morte, e i relativi costi). In questo modo, la stratificazione del rischio è in grado, da un lato, di certificare l’appartenenza dell’assistito a uno o più registri di malattia cronica (di diversa severità), dall’altro di predire la sua probabilità di andare incontro nel futuro a una serie di eventi indesiderabili ed evitabili. Compito del PNC è di riorientare l’offerta di assistenza in modo proattivo e personalizzato a chi ha una singola malattia o più malattie, anche in funzione della probabilità di eventi sfavorevoli.

In questa circostanza, i tre termini in questione, soprattutto la fragilità e la vulnerabilità, sono stati molto utilizzati con significati spesso intercambiabili. Nel PNC piemontese si propone di considerare tre concetti indipendenti che interagirebbero tra loro negli algoritmi di stratificazione del rischio.

Le variabili che denotano la presenza di una malattia cronica nella storia di un assistito potrebbero agire come fattori di suscettibilità (prevalentemente di natura biologica) che predispongono a una maggiore probabilità di eventi indesiderabili nella storia naturale dell’invecchiamento della persona; si tratta dei tradizionali fattori biologici e clinici che i metodi di risk adjustment utilizzano per controllare la morbosità cronica nei programmi di valutazione di esito e nelle formule allocative. Le variabili che misurano il grado di controllo che una persona ha sulla propria vita potrebbero essere definiti come fattori di vulnerabilità (di natura soprattutto sociale) che influenzano le capacità di un assistito di far fronte ai fattori di suscettibilità (biologica) senza soccombere troppo presto agli stress nella storia dell’invecchiamento. Poiché ogni assistito nella storia del suo invecchiamento trova un equilibrio temporaneo tra suscettibilità e vulnerabilità nella capacità di evitare gli eventi indesiderabili (un equilibrio che potremmo chiamare resilienza), ogni fattore che perturba l’equilibrio potrebbe essere un fattore di fragilità, che fa precipitare la progressione verso gli eventi indesiderabili.

La letteratura sull’invecchiamento ha variamente incluso queste tre sfumature nel concetto di frailty,3 modulandone la definizione operativa in modo più o meno sofisticato a seconda della disciplina di appartenenza (più legato alla suscettibilità per la sanità pubblica, più legato alle limitazioni funzionali per la gerontologia eccetera); sta di fatto che non è disponibile una definizione operativa validata di fragilità che sappia riassumere i tre fenomeni descritti prima.

Una prima proposta pragmatica per la comunità di sanità pubblica che si occupa del PNC e del PNP sarebbe di utilizzare questi tre concetti con lo scopo di distinguere il loro diverso ruolo nella storia naturale dell’invecchiamento in salute (figura 1). La suscettibilità (biologica) è quella morbosità cronica di cui il PNP si vuole occupare per prevenirla intervenendo sui suoi fattori di rischio e di cui il PNC vuole evitare le conseguenze indesiderate ed evitabili. La vulnerabilità (sociale) è a sua volta uno dei determinanti della suscettibilità (perché influenza l’esposizione ai fattori di rischio delle malattie croniche), ma al tempo stesso, modellando le risorse e le competenze dell’assistito, può moderare o peggiorare la velocità di transizione dalla suscettibilità alle conseguenze indesiderate: chi è più povero di risorse e di competenze è più esposto ai fattori di rischio, si ammala di più di malattie croniche e ha meno capacità di gestire il percorso della malattia evitando gli eventi indesiderabili. In ultimo, il fattore di fragilità (per esempio, il decesso del coniuge) può avere conseguenze dirette sull’esito indesiderato o può, a sua volta, accelerare la velocità di transizione dallo stato di suscettibilità all’esito indesiderato.

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Le implicazioni operative di queste distinzioni possono essere rilevanti per la stratificazione del rischio. Infatti, i registri di patologia che si possono costruire con i sistemi informativi sanitari regionali sono in grado di identificare in modo accurato le principali malattie croniche le cui ricadute sul rischio di eventi indesiderabili sono ben stimabili. Viceversa, rimane più limitata la capacità dei sistemi informativi di misurare le caratteristiche di vulnerabilità sociale (fattori individuali come reddito, classe, grado di istruzione, supporto familiare o fattori di area come livello di deprivazione, sicurezza, coesione sociale) in ogni assistito, fatto che condiziona fortemente la possibilità di predire le variazioni nel rischio di peggioramento della suscettibilità verso l’evento indesiderato. Ancora più limitata è la capacità di misura dei fattori di fragilità attraverso i dati tracciabili nei sistemi informativi sanitari (come sarebbe il caso del decesso di un coniuge). Gli sviluppi del fascicolo sanitario elettronico e della sua accessibilità per il trattamento dei dati potrebbero permettere innovazioni utili in questo senso. Con queste definizioni in mente, gli algoritmi che oggi sono in fase di sviluppo in ogni Regione potrebbero predire meglio e controllare in modo più armonizzato il ruolo di suscettibilità, vulnerabilità e fragilità.

Vulnerabilità e suscettibilità nelle politiche non sanitarie

Nel campo delle politiche non sanitarie, sono le disuguaglianze di salute ad aver fatto i conti con i concetti di suscettibilità e vulnerabilità. Già nel 2001, Finn Diderichsen propose uno schema esplicativo per i meccanismi di generazione delle disuguaglianze di salute che serviva a riflettere su quali meccanismi potessero essere degli entry point per la risposta delle politiche di contrasto delle disuguaglianze.4 Lo schema è stato fatto proprio con poche modificazioni dal rapporto dell’Organizzazione mondiale della sanità sui determinanti sociali del 2007.5 Lo schema mette in evidenza tre possibili meccanismi di interesse per questo intervento. Da un lato, il fatto che la posizione di svantaggio sociale può spiegare le disuguaglianze di esposizione ai fattori di rischio (meccanismo II), che a loro volta spiegano le disuguaglianze nelle malattie croniche (il fattore di suscettibilità discusso prima); dall’altro lato, il fatto che la posizione sociale svantaggiata può spiegare una disuguale vulnerabilità sia all’effetto del fattore di rischio sull’insorgenza di malattia sia alla progressione della malattia (meccanismo III), ma anche una disuguale vulnerabilità alle conseguenze sociali della esperienza di malattia (meccanismo IV). Siamo di fronte a una definizione di suscettibilità e vulnerabilità che ha ricadute operative molto dirette; si tratta di meccanismi di azione differenti che richiedono risposte differenti. Nel caso dell’esposizione disuguale occorre una prevenzione che sappia allocare gli interventi efficaci sui gruppi dove c’è maggiore probabilità di esposizione. Nel caso della vulnerabilità disuguale, bisogna ridisegnare gli interventi in modo da “personalizzarli” sul particolare stato di vulnerabilità dei soggetti: a vulnerabilità diversa potrebbe corrispondere un’efficacia diversa degli interventi.

Nel campo delle disuguaglianze di salute, il termine vulnerabilità ricorre spesso anche con un significato differente, quando si parla di target degli interventi e si raccomanda di dare priorità ai gruppi vulnerabili. Un recente progetto europeo, VulnerABLE, ha provato a raccogliere dati sulla salute dei vulnerabili ed elaborare raccomandazioni per il miglioramento della salute.6 In questo caso, si parla di vulnerabilità non come di un meccanismo di generazione delle disuguaglianze di salute, ma come di una particolare concentrazione di condizioni di svantaggio sociale. Le categorie esaminate da VulnerABLE comprendevano diverse voci come i senza dimora, gli stranieri esclusi, i detenuti, i disoccupati di lunga durata, i working poor, gli anziani in povertà, i malati mentali, i tossicodipendenti eccetera. Alla luce dello schema di Diderichsen, chi è in condizione di vulnerabilità si trova o con una più alta probabilità di esposizione ai fattori di rischio, quindi una maggiore necessità di investimento per interventi di contrasto (meccanismo II), o in una condizione di maggiore probabilità di andare incontro alle conseguenze sfavorevoli dell’esposizione e della malattia (meccanismo III), quindi di richiedere una personalizzazione degli interventi di prevenzione e cura.

Le strategie di contrasto delle disuguaglianze di salute spaziano da quelle che si propongono di migliorare la salute dei gruppi più svantaggiati, per passare a quelle che puntano a ridurre le disuguaglianze tra gli estremi di chi sta meglio e di chi sta peggio, fino ad arrivare a quelle che si propongono di ridurre il gradiente sociale di salute in tutta la scala sociale, cioè di far scendere le disuguaglianze in ogni punto della scala sociale. La prima opzione è quella utilizzata più spesso nell’agenda delle politiche europee, nazionali e locali; essa concentra gli interventi sui gruppi di persone ad alto rischio sociale, cioè quelle in condizione di maggiore vulnerabilità, col doppio significato prima esaminato (più esposizione e più effetti dell’esposizione). Come ci ha insegnato Geoffry Rose, mutatis mutandis, è la strategia meno promettente dal punto di vista dei casi attribuibili, perché si concentra sull’estremo della scala sociale, dove c’è il livello più acuto di svantaggio ma anche il minor numero di casi attribuibili.7

Vulnerabilità e moderazione d’effetto nella ricerca epidemiologica sulla causalità

A questo punto interviene l’epidemiologia, che insegna che il meccanismo di vulnerabilità differenziale non è altro che una modificazione di effetto da parte dello svantaggio sociale. Un panel di ricercatori di diverse discipline, organizzato dalla federazione europea delle Accademie di medicina e delle scienze (FEAM, ALLEA) sta appunto cercando di valutare criticamente le prove scientifiche disponibili per stabilire se dietro ai determinanti sociali di salute ci sia un nesso di causalità solido.8

In effetti, ci sono ancora controversie tra scienze mediche e sociali da un lato e scienze economiche dall’altro sul fatto che reddito, educazione e classe sociale siano cause che compromettono direttamente la salute o se non sia, invece, in opera un meccanismo di causazione inversa per cui è l’esperienza di malattia o di esposizione al fattore di rischio a causare la posizione sociale della persona. È, invece, ben consolidato il fatto che le disuguaglianze di esposizione e di vulnerabilità ai principali fattori di rischio siano meccanismi causali di generazione delle disuguaglianze di salute meritevoli di attenzione da parte delle politiche di contrasto. A queste sfide l’epidemiologia è ben attrezzata a rispondere, dato che i metodi per studiare la mediazione e la moderazione di effetto sono sempre più evoluti e possono aiutare a stabilire l’importanza relativa dei vari meccanismi di mediazione (esposizione differenziale). Forse un po’ più in ritardo sono i metodi di studio della moderazione (vulnerabilità sociale o suscettibilità clinica differenziale per posizione sociale), ma è una buona ragione per dare priorità di ricerca a questo sviluppo.

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Un lascito per l’epidemiologia italiana

E&P aveva già prestato attenzione nel passato a queste popolazioni vulnerabili, soprattutto alla salute di quelle immigrate. Con questa monografia l’epidemiologia italiana dimostra una particolare sensibilità alla salute dei gruppi sociali in condizione di particolare vulnerabilità, rispondendo a una priorità di ricerca e sorveglianza che il lavoro con Barbara Pacelli ci ha insegnato a frequentare. Questo intervento ricorda che la vulnerabilità sociale come moderatore di tutti i meccanismi di mediazione degli effetti sfavorevoli sulla salute, ivi compresa la disuguale esposizione a questi mediatori, è un tema centrale di studio con implicazioni operative spesso trascurate. I gruppi in condizione di vulnerabilità sono il target privilegiato delle politiche di contrasto delle disuguaglianze sia perché su di essi si concentra in misura maggiore l’esposizione ai mediatori sia perché essi soffrono maggiormente delle conseguenze di questi mediatori e hanno bisogno di interventi su misura della loro vulnerabilità differenziale. Senza dimenticare che la parte più rilevante del rischio attribuibile delle disuguaglianze di salute sta nel gradiente di salute che si manifesta lungo tutta la scala sociale, per cui la priorità per gli interventi selettivi con i gruppi vulnerabili non deve essere una scusa per eludere gli interventi universalistici sul gradiente sociale di salute che investe tutta la popolazione. Il mandato a un universalismo proporzionato concilia queste due prospettive strategiche.9

L’emergenza pandemica ci sta mettendo davanti agli occhi tutta l’attualità di questi messaggi. La diffusione dell’infezione è stata fondamentalmente uguale, ma le conseguenze sfavorevoli dell’infezione sono state molto disuguali (ricoveri e mortalità) e a carico soprattutto dei soggetti più clinicamente suscettibili e più socialmente vulnerabili, con numerosi fattori di stress che hanno agito da fattori di fragilità; in più, le conseguenze del lockdown hanno avuto un impatto molto disuguale sui determinanti sociali di salute, i cui effetti a medio lungo termine minacceranno ancor più di allargare le disuguaglianze di salute. Con questa attualità in mente, tre sono i lasciti per l’agenda dell’epidemiologia:

  • dobbiamo imparare a misurare meglio i fattori di vulnerabilità nei nostri sistemi informativi sanitari;
  • dobbiamo perfezionare le capacità di studio della moderazione di effetto, sia in termini di sistemi di indagine sia di metodi di analisi;
  • dobbiamo contaminare l’agenda della programmazione sanitaria nazionale (PNC e PNP) con queste nuove informazioni sulla vulnerabilità, sulla suscettibilità e sulla fragilità, per rendere i percorsi decisionali e di innovazione meglio informati.

Giuseppe Costa

Bibliografia

  1. Improving chronic illness care. Disponibile all’indirizzo: http://www.improvingchroniccare.org
  2. Integrated Community Care. Disponibile all’indirizzo: https://transform-integratedcommunitycare.com
  3. European Union. AdvantAGE. Managing Frailty. Disponibile all’indirizzo: https://www.advantageja.eu
  4. Diderichsen F, Evans T, Whitehead M. The social basis of disparities in health. In: Evans T, Whitehead M, Diderichsen F, Bhuiya A, Wirth M (eds). Challenging inequities in health. From ethics to action. 1st edition. Oxford, Oxford University Press, 2001; pp. 12-23.
  5. Commission on Social Determinants of Health. A Conceptual Framework for Action on the Social Determinants of Health. April 2007. Disponibile all’indirizzo: https://www.who.int/social_determinants/resources/csdh_framework_action_05_07.pdf
  6. AGE Platform Europe. The voice of older persons at EU level. Disponibile all’indirizzo: https://www.age-platform.eu/policy-work/news/vulnerable-project-improvinghealth-those-isolated-and-vulnerable-situations
  7. World Health Organization. Social determinants of health. Key concepts. Disponibile all’indirizzo: https://www.who.int/social_determinants/thecommission/finalreport/key_concepts/en/#:~:text=The%20social%20gradient%20in%20health,level%20and%20health%20is%20graded.&text=This%20is%20the%20social%20gradient%20in%20health
  8. All European Academies, FEAM. Health inequalities. An interdisciplinary exploration of socioeconomic position, health and causality. Symposium Report. November 2018. Disponibile all’indirizzo: https://www.allea.org/wp-content/uploads/2018/11/Health_Inequalities_Symposium_Report.pdf
  9. Carey G, Crammond B, De Leeuw E. Towards health equity: a framework for the application of proportionate universalism. Int J Equity Health 2015;14:81.
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