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Le carenze di organico nel servizio sanitario regionale piemontese, favorite da una prolungata politica di blocco delle assunzioni, hanno determinato un uso (e talvolta abuso) sistematico delle forme di lavoro flessibile in sostituzione del personale necessario per l’attività ordinaria.

Il lavoro subordinato ha finito per essere sostituito da contratti di lavoro atipici (co.co.co., borse di studio e partite iva) o, peggio ancora, da contratti di appalto di fornitura di servizi e lavoro somministrato.

In alcune aziende sanitarie regionali questa politica ha portato all’esternalizzazione di interi reparti o aree di degenza con evidenti ripercussioni sulla qualità dei servizi erogati. Da un lato questo processo ha dequalificato i servizi offerti ai cittadini, dall’altro ha penalizzato i lavoratori, privandoli in parte o completamente delle loro tutele fondamentali.

In Piemonte un esempio significativo dell’ampio ricorso alle forme di lavoro atipico è la Rete piemontese di Epidemiologia.

L’epidemiologia, nelle sue diverse applicazioni, è considerata nei sistemi sanitari dei paesi avanzati una funzione fondamentale di supporto alle decisioni a vari livelli, dall’elaborazione delle politiche sanitarie, al governo clinico e nella produzione di evidenze originali.

In Piemonte questa funzione si è sviluppata e organizzata nel tempo raggiungendo elevati standard qualitativi sul piano scientifico e della reputazione, sia a livello locale, sia a livello nazionale e internazionale. In particolare, a livello regionale e aziendale, sono state ampiamente sviluppate funzioni di produzione di epidemiologia/documentazione, che hanno messo a disposizione una notevole quantità di informazioni accessibili e fruibili per diverse tipologie di decisioni (da quelle di politica sanitaria regionale, alle attività di valutazione e promozione della qualità dell’assistenza in ambito aziendale, al supporto alla ricerca clinica).

L’attuale organizzazione ha permesso alle funzioni di epidemiologia e documentazione di rispondere ai bisogni di produzione di conoscenza in Piemonte con un buon grado di autonomia tecnica, di rigore scientifico e di elasticità.

Tuttavia, accanto a questa valutazione complessivamente positiva, devono essere segnalate alcune criticità; le principali riguardano:

  • il meccanismo di finanziamento che, come per tutte le funzioni regionali o sovra zonali affidate ad un’azienda sanitaria, deve essere messo in carico non al fondo di finanziamento ordinario (per quota capitaria nel caso delle ASL), ma ad un fondo dedicato da parte della Regione, o delle aziende servite nell’area funzionale sovra zonale o regionale stessa;
  • lo strumento della conferenza regionale della rete delle strutture di epidemiologia, che pure ha svolto un ruolo positivo di coordinamento, ma che risulta oggi uno strumento di integrazione e programmazione troppo debole per orientare gli obiettivi ed economizzare le risorse;
  • la dotazione di personale strutturato delle singole unità di epidemiologia, soprattutto di alcune professionalità poco diffuse tra il personale del SSR (es. statistici, economisti sanitari, esperti in progettazione/documentazione/formazione/comunicazione per la promozione della salute, comunicatore pubblico, informatico, la maggioranza dei quali privi anche di una adeguata collocazione nei profili professionali del SSN), che spesso si è rivelata al di sotto della soglia dimensionale necessaria per raccogliere compiti di scala sovra regionale, e attrarne i relativi investimenti, che invece sarebbero alla portata delle competenze e del prestigio dell’epidemiologia e della documentazione piemontese;
  • l’accesso sempre più limitato e difficoltoso ai dati sanitari correnti, prerequisito essenziale per il funzionamento dell’epidemiologia.

A queste criticità si aggiungono le pressanti esigenze di razionalizzazione, quando non di razionamento, imposte dalla sfavorevole congiuntura dei conti pubblici, e quindi della sanità. In questo frangente rischia di essere anche messo in discussione il valore e la giustificazione della funzione epidemiologica e di documentazione e quindi delle risorse che consumano, con richieste di razionamento dei suoi piani e del suo finanziamento (pregiudicando anche la continuità delle competenze, parte delle quali garantite con difficoltà da autofinanziamento). Di norma, le aziende sanitarie che ospitano le strutture di epidemiologia non oppongono resistenza ai tagli e ai blocchi imposti alle funzioni sovra-zonali che non rientrano nella missione aziendale.

I precari piemontesi dell’epidemiologia sono però da diverso tempo organizzati e, nel mese di dicembre 2016 hanno portato a termine un monitoraggio del personale afferente a vario titolo alla rete piemontese di Epidemiologia. I dati sono descritti nell’infografica che potete trovare qui.

Alla fine del 2016 lavoravano all’interno della rete 70 precari di cui il 50% era stipendiato attraverso contratti di collaborazione coordinata e continuativa ed il 27% era lavoratore autonomo con partita Iva. Molti di questi lavoratori operano da anni nel settore sanitario e rappresentano un patrimonio professionale da non disperdere.

In regione Piemonte si è fatto grande ricorso alle collaborazioni, ma occorre fare una distinzione sull’utilizzo che ne è stato fatto in questi anni. Alcune collaborazioni sono avvenute in relazione ad attività effettivamente progettuali prefigurando quindi, senza ambiguità, un rapporto di lavoro a termine. Altre volte, invece, non hanno rispettato queste condizioni, prefigurando l’esercizio di compiti in larga misura legati ad attività correnti e continuative. È divenuta dunque una condizione ordinaria all’interno degli uffici o dei servizi trovare lavoratori strutturati a fianco di lavoratori precari che svolgono gli stessi compiti, con scarsi diritti e tutele. È prioritario, dunque, nell’interesse dello stesso servizio sanitario regionale, dare risposte compiute alle centinaia di unità di personale, ora in forza presso ASL e ASO con contratti di lavoro atipici e con anzianità di servizio anche ultradecennale.

Inoltre è opportuno tenere conto che nello scorso periodo di stabilizzazioni (avvenute negli anni 2008-2009), quasi il 60% del personale stabilizzato negli anni precedenti è stato inquadrato con livelli inadeguati rispetto alla mansione.

La recente esperienza dell’ISS, ben raccontata nell’articolo di aprile pubblicato su Epidemiologia e Precariato, rappresenta per tutti i precari della sanità un importante esempio di come situazioni critiche di precariato diffuso e strutturale possano esitare in cambiamenti positivi dove si riconosce il valore dei collaboratori e si agisce conseguentemente nel garantire contratti di lavoro stabili. Gli elementi vincenti di questo percorso sono da ricercarsi nel senso di appartenenza di tutti i collaboratori dell’ISS, nella loro massa critica (500 lavoratori), nella loro capacità (non scontata) di perseverare uniti per quasi tre mesi in una battaglia per il diritto a un lavoro più dignitoso, alla capacità di interloquire col giusto piglio con i referenti politici in grado di trovare e, soprattutto, attuare soluzioni concrete.

E proprio alla luce di questa esperienza appare evidente come in Piemonte la strada da compiere sia ancora lunga e, pare, tortuosa.

I precari della sanità piemontese devono ispirarsi a questa storia di successo traendone stimolo e condividendo la consapevolezza che “qualcosa deve e può cambiare”.

Umberto Falcone, Cristiano Piccinelli, Fulvio Ricceri
per il Gruppo Precari della Rete Epidemiologica Piemontese.
Contatti: 
umberto.falcone@dors.it

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