Riassunto

«Deve essere concesso libero accesso a tutti gli archivi». Con queste parole, il 2 dicembre 1766 in Svezia venne approvata, da re Adolfo Federico, la prima legge formale sull’accesso ai documenti della pubblica amministrazione. Un’ordinanza sulla libertà di scrittura e di stampa che ha anticipato di 250 anni quanto è accaduto in Italia solo recentemente. Dal 23 dicembre 2016, infatti, anche nel nostro Paese è entrato in vigore il FOIA (Freedom of Information Act), che detta le nuove regole per il diritto di accesso alle informazioni detenute dalla pubblica amministrazione.

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«Deve essere concesso libero accesso a tutti gli archivi». Con queste parole, il 2 dicembre 1766 in Svezia venne approvata, da re Adolfo Federico, la prima legge formale sull’accesso ai documenti della pubblica amministrazione. Un’ordinanza sulla libertà di scrittura e di stampa che ha anticipato di 250 anni quanto è accaduto in Italia solo recentemente. Dal 23 dicembre 2016, infatti, anche nel nostro Paese è entrato in vigore il FOIA (Freedom of Information Act), che detta le nuove regole per il diritto di accesso alle informazioni detenute dalla pubblica amministrazione (vd. riquadro). Un successo importante, seppure per molti versi ancora parziale, che ha l’indubbio pregio di avere ribaltato la situazione preesistente: ora infatti non sta più al cittadino l’onere di dimostrare il proprio interesse a conoscere un informazione, è l’amministrazione a dover provare i motivi (previsti per legge, come nel caso del segreto di stato) che le impediscono di fornire le informazioni richieste. Un successo che corona due anni di intenso dibattito sull’argomento alimentato in gran parte dalla campagna nazionale FOIA4Italy3 sotto il cui ombrello si sono raccolte trenta associazioni della società civile italiana e oltre 80mila cittadini. Un gruppo di pressione straordinario che ha condotto all’approvazione di un vero Freedom of Information Act, la cui assenza nel nostro impianto normativo rendeva, di fatto, la legge italiana una delle dieci peggiori del mondo. E chi meglio di Ernesto Belisario, avvocato ed esperto di diritto amministrativo e accesso alle informazioni e Guido Romeo, giornalista e cofondatore della ONG Diritto di sapere, tra i promotori di FOIA4Italy, poteva illustrare questo lungo percorso? Lo fanno in Silenzi di Stato. Storia italiana di trasparenza negata e di cittadini che non si arrendono, edito da Chiarelettere con la prefazione di Gian Antonio Stella. Un testo divulgativo ma al contempo preciso e circostanziato, con diversi riferimenti a ciò che accade nel resto del mondo, dove si spiega perché, secondo i dati raccolti dal rapporto Legaleaks nel 2013, solo una richiesta di accesso alle informazioni dei cittadini su tre in Italia sia stata soddisfatta dalla pubblica amministrazione, e come nel 65% dei casi le amministrazioni non abbiano risposto avvalendosi del «silenzio-diniego». E che «la democrazia non sia uno sport per spettatori» (Michael More) è dimostrato dalle dieci storie che testimoniano l’impegno di cittadini, giornalisti, insegnanti, magistrati, ONG per sapere di più su una miriade di argomenti che riguardano tutti gli italiani, proprio in quanto cittadini: dalle spese degli amministratori pubblici alla sicurezza degli edifici scolastici, ai dati che riguardano l’ambiente e salute, alla presenza dell’amianto nei nostri territori e ai cosiddetti «tumori perduti », fino alle graduatorie dei concorsi per gli insegnanti. «Il Freedom of Information Act è lo strumento democratico più importante dopo il diritto di voto» concludono Belisario e Romeo. Un diritto fondamentale che tutti dovrebbero imparare a esercitare.

Accesso civico generalizzato ai dati della pubblica amministrazione

Che cos’è il FOIA. Si chiama FOIA (Freedom of Information Act, legge per la libertà di informazione), si declina libertà, e soprattutto diritto, per ogni cittadino, di accedere alle informazioni detenute dalle istituzioni centrali e locali dello Stato italiano. È la legge sulla trasparenza entrata in vigore a fi ne 2016 che sancisce il diritto di sapere degli italiani.1
Ciò significa che ogni cittadino può richiedere alle pubbliche amministrazioni (enti e agenzie statali o locali) «documenti, informazioni o dati» senza essere tenuto a fornire «motivazione alcuna», come accadeva fino a ieri, per giustificare il proprio interesse (art. 5). Anzi sarà la pubblica amministrazione a dover motivare l’eventuale diniego. Lo scopo? «Favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche e di promuovere la partecipazione al dibattito pubblico». Per inviare le richieste basta una e-mail certificata (ma ci si può risvolgere anche alla ONG Diritto di sapere, che ha attivato una piattaforma apposita per facilitare l’inoltro2).
E le istituzioni sono tenute a rispondere sempre e in tempi brevi. Tutto questo riguarda qualsiasi ambito, compresi quelli scientifico e sanitario. Da qui un consiglio per gli epidemiologi: preparate i vostri dati, anche voi siete tenuti a rispondere alle richieste dei cittadini.  

Note

  1. Approvato il 26 maggio 2016, il DLgs. 97 sulla trasparenza è entrato in vigore il 23 dicembre 2016. Dopo una settimana l’ANAC (Autorità nazionale anticorruzione) ha approvato le Linee Guida per l’attuazione dell’accesso civico generalizzato.
  2. CHIEDI (https://chiedi.dirittodisapere.it) è una piattaforma gratuita e senza scopo di lucro messa a punto da Diritto di sapere (www.dirittodisapere.it).
  3. http://www.foia4italy.it
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