Cambia la struttura del «Caso etico»
Da oggi anche i lettori di E&P sono chiamati a rispondere ai quesiti

A partire da questo numero di E&P, la rubrica «Il caso etico» abbandona la struttura che l’ha caratterizzata negli ultimi tre anni. Non avremo più IL FATTO, IL QUESITO e IL COMMENTO di un esperto raccolti in una stessa pagina, ma in ogni numero proporremo un nuovo caso etico, descritto nel dettaglio, e chiederemo direttamente ai lettori di inviare in redazione il loro commento, che verrà pubblicato nel numero successivo. Speriamo in questo modo di rendere più vivace lo scambio di opinioni tra gli epidemiologi. Vi invitiamo anche a sottoporre a E&P i casi etici in cui vi siete trovati o di cui siete venuti a conoscenza nell’esercizio della professione.

Il caso etico che presentiamo in questo numero è diverso dai precedenti anche nella sostanza, oltre che nel formato. La questione della lotta alle mutilazioni genitali femminili (MGF) può apparire distante dai temi convenzionali dell’epidemiologia e della prevenzione, ma soltanto a prima vista. Oltre a riguardare eventi la cui prevalenza non è trascurabile (anche nel nostro paese e in Europa, risultano di interesse generale le questioni etiche ad essa connesse ed in particolare i dubbi etici che vengono sollevati ogni qualvolta si propongano politiche di riduzione del danno. Nel caso qui illustrato, si mira a sostituire un danno più grave con una lesione che dal punto di vista organico è meno malefica, ma sicuramente non benefica. E che porta con sé riflessioni sui modi di realizzare iniziative di sanità pubblica.

Il caso
Le mutilazioni genitali femminili e la proposta di rito sostitutivo

Il Consiglio regionale della Toscana non ha autorizzato la pratica di rito sostitutivo all’infibulazione sottoposta al Comitato etico locale di competenza da Abdulcadir Omar Hussein e Lucrezia Catania, ginecologi del Centro di riferimento regionale per la prevenzione e cura delle complicanze delle mutilazioni dei genitali femminili di Careggi. La procedura consiste in una puntura di spillo, eseguita da un medico, sulla pelle del clitoride delle bambine (o delle giovani donne) in modo da far uscire qualche goccia di sangue, il tutto in anestesia locale. Il dibattito seguito alla proposta è stato molto acceso e ha schierato su due fronti contrapposti associazioni di donne (immigrate e italiane), medici, politici, antropologi e giornalisti, che hanno portato all’attenzione pubblica il fenomeno delle mutilazioni genitali femminili, un fenomeno che da decenni riguarda, oltre i paesi africani e medio orientali, anche quelli occidentali in cui vivono comunità immigrate. Se la condanna delle mutilazioni genitali femminili (MGF) è comune, in quanto pratiche che ledono l’integrità del corpo delle donne e ne sanciscono la sottomissione, le posizioni divergono riguardo al modo di combatterle e di affrontare una situazione di emergenza (molte famiglie tornano nei paesi di origine per sottoporre le figlie a queste pratiche, o lo fanno clandestinamente nei paesi dove vivono).

Argomenti a favore

• La procedura non procura danni permanenti e non è dolorosa, evita quindi i danni causati dall’infibulazione (vedi box). «La valutazione nei riguardi di una forma non dolorosa, praticamente incruenta e sostanzialmente lontana da qualsiasi tipo di MGF e persino dalla cd SUNNA, deve essere intesa nella sua mera significazione di pratica rituale diretta a prevenire (...) il ricorso a interventi demolitori, a rispettare quindi l’integrità della donna» (dal documento della Commissione regionale di bioetica della Toscana). La mancanza di una giustificazione terapeutica è già accettata per altri interventi (per esempio la circoncisione
rituale maschile).
• L’esperienza di altri paesi ha mostrato che per una lotta efficace alle MGF non basta promulgare leggi che le condannino (East Afr Med J 2000; 77(5): 268- 72). La procedura proposta può essere un’alternativa temporanea da offrire alle famiglie perché non richiedano più le MGF.
• È necessario molto tempo prima che pratiche radicate in una cultura vengano abbandonate: «la convinzione che le mutilazioni genitali femminili vadano abolite tutte e subito rischia di non fare i conti con la realtà» (Carla Pasquinelli, Ascoltate quel medico, Il Manifesto 18 febbraio 2004). Vanno quindi intraprese vie di compromesso che riducano il danno rispetto alle MGF.
• La proposta non elimina il significato rituale di sottomissione della donna, ma non per questo chi la approva ne condivide il significato simbolico: «Se vogliamo aiutare queste donne a non infliggere lo stesso crudele rito già patito da loro stesse, dobbiamo, anche se non lo condividiamo, capire bene il loro punto di vista e, con il dialogo, dobbiamo convincerle che non occorre accettare l’inutile sofferenza procurata dal rito per essere rispettate e per raggiungere una identità femminile “certa”»
(Lucrezia Catania, Toscana medica).

Argomenti contro

La pratica comporta un intervento lesivo (seppur lieve) sul corpo femminile, eseguito per motivi non terapeutici ma culturali, in nome di un relativismo culturale dannoso per le donne stesse, e in contrasto con il codice deontologico dei medici (secondo ciò che sostiene Marian Ismail, dell’associazione Donne in rete di Milano); inoltre è stata delineata senza coinvolgere le associazioni di donne direttamente interessate.
• Se anche il danno fisico è minimo, rimane la portata del danno simbolico, non evitato dal rito alternativo. «Anche una mutilazione simulata, proprio perché mantiene un alto valore simbolico, rimanda direttamente a questa violazione e rischia di allontanare l’affermarsi presso le donne immigrate (...) di una diversa cultura della libertà femminile» (Beatrice Magnolfi, Mutilazioni genitali femminili, perché è sbagliata lariduzione del danno, 27 gennaio 2004 http://dsonline. it/stampa/speciali/burkina_faso/documenti/index.asp).
• La medicalizzazione rischia di indebolire la lotta contro le MGF e di avvallarne il significato discriminatorio (l’OMS ha condannato ogni forma di medicalizzazione delle MGF nel 1982 e in documenti successivi, http://www.who.int/docstore/frh-whd/FGM/ infopack/English/fgm_infopack.htm).
• La proposta è inefficace dal punto di vista pratico perché «chi pretende la sunna (escissione del prepuzio) non si accontenterà di una puntura di spillo" (intervista a Graziella Sacchetti, Il Manifesto, 28 febbraio 2004).
• Interventi efficaci e accettabili contro le MGF sono le azioni di informazione e sensibilizzazione rivolte alle donne immigrate, analoghe a quelle condotte da diverse associazioni (AIDOS - Associazione italiana donne per lo sviluppo; NPSG - Non c’è pace senza giustizia; Nosotras); in questo senso è risultato efficace coinvolgere le autorità religiose: «In Egitto le MGF sono diminuite grazie all’intervento dell’autorità che le ha dichiarate estranee alla religione» spiega Marian Ismail.
Cinzia Colombo

Mutilazioni genitali femminili

Cosa sono. Dalla classificazione dell’OMS:
Tipo I: escissione del prepuzio, con o senza escissione del clitoride (SUNNA)
Tipo II: escissione del clitoride, con escissione parziale o totale delle piccole labbra
Tipo III: escissione di parte o di tutti i genitali esterni e cucitura/ restringimento dell’orifizio vaginale (infibulazione)
Tipo IV: incisione o piercing del clitoride e/o delle labbra; allungamento delle labbra; cauterizzazione attraverso la bruciatura del clitoride e dei tessuti circostanti; introduzione di sostanze corrosive o erbe nella vagina per causare sanguinamento e pratiche affini.
La forma più comune è l’escissione del clitoride e delle labbra (80% dei casi), quella più grave è l’infibulazione (15%).
Le conseguenze. Variano secondo il tipo di mutilazione: le più immediate possono essere dolore acuto, shock, ritenzione urinaria, emorragia, che può portare anche alla morte. Sono possibili anche gravi conseguenze psicologiche (ansia e depressione).

A che età e perché vengono praticate.

Le MGF sono praticate su neonate con pochi mesi di vita, su bambine, adolescenti, a volte anche su donne adulte. Le ragioni sono di tipo sessuale: si vuole attenuare il piacere nelle donne riduseguecendo o eliminando i tessuti degli organi genitali, per mantenerle vergini prima del matrimonio e fedeli durante il matrimonio, e per aumentare il piacere maschile; di tipo sociologico: le MGF sono considerate un rito di integrazione e di iniziazione all’età adulta femminile; infine vengono addotte ragioni di tipo estetico e igienico: i genitali esterni femminili sono considerati sporchi e sono quindi rimossi per promuovere l’igiene e la bellezza. (WHO, http://www.who.int/mediacentre/factsheets/fs241 /en/print.html).

La diffusione del fenomeno

La maggior parte delle donne sottoposte a MGF vivono in Africa, ma ci sono casi anche in Asia e in Medio Oriente. Il fenomeno interessa anche Europa, Canada e Stati Uniti, soprattutto tra le donne immigrate. A oggi il numero di donne nel mondo che hanno subito mutilazioni genitali femminili va dai 100 ai 140 milioni, con circa due milioni di bambine sottoposte a MGF ogni anno. Stabilirne la diffusione in Europa è difficile, perché manca una rete di informazioni tra i centri che si occupano di prevenire e curare i danni da MGF. «Il fenomeno è diffuso anche in Europa» commenta il ginecologo Abdulcadir «ma è difficile stabilirne la portata perché spesso è sommerso. Ogni anno si rivolgono al Centro di Careggi circa 500 donne. Arrivano donne anche dal Nord Europa, da paesi come l’Olanda e l’Inghilterra».
C.C.

Il percorso della proposta in Toscana

• Comitato etico locale dell’Azienda USL 10 di Firenze: 5 dicembre 2003: parere favorevole
• Consiglio regionale toscano 3 febbraio 2004: con una Mozione non ha autorizzato la pratica
• Commissione regionale di bioetica: 9 marzo 2004: parere favorevole
La legge contro le MGF
Il 4 maggio 2004 è stata approvata alla Camera dei deputati la legge sulle disposizioni concernenti la prevenzione e il divieto delle pratiche di mutilazione genitale femminile (ma non riconosce lo status di rifugiata a chi lascia il proprio paese per sfuggire a tali pratiche).

Il quesito

Ammettendo che la procedura alternativa riduca il danno rispetto alle mgf, è etico che un medico intervenga sui genitali delle bambine a seguito di una richiesta dettata da motivazioni culturali, senza necessità terapeutiche, praticando un intervento che ha implicazioni discriminatorie? come si concilia questa proposta con uno dei più importanti principi della professione: primo non nuocere?

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