Scrivendo a pochi mesi di distanza dall’incidente avvenuto all’ICMESA diMeda il 10 luglio del 1976, che aveva causato la fuoriuscita di diossina e la contaminazione di una vasta area della Brianza, Giulio Maccacaro si rifiutava di considerarlo un evento imprevedibile e unico, circoscrivibile in uno spazio e un tempo determinati. Mentre ne individuava le cause nel colpevole disinteresse per i valori della salute e dell’ambiente, profetizzava (e in parte già riscontrava) negligenze e omissioni destinate ad aggravarne le conseguenze e a favorire il ripetersi di simili accadimenti. Non era certo la mancanza di conoscenza a venire individuata come il problema centrale, ma piuttosto la sua strumentalizzazione e non condivisione.1

Ignari dei rischi prima, e comprensibilmente spaventati dopo, lavoratori e residenti si trovarono a fronteggiare l’incertezza del futuro fra informazioni contraddittorie e indicazioni contrastanti, fra rassicurazioni verbali destinate a tranquillizzarli e provvedimenti restrittivi emessi nell’intento di limitare ulteriori esposizioni. E si trovarono inoltre a essere vittime di strumentalizzazioni politiche di vario tipo e perfino di discriminazioni pesanti.

A quasi trentacinque anni di distanza, la regolamentazione delle installazioni “a rischio di incidente rilevante” è radicalmente cambiata, anche per quanto attiene agli obblighi di informazione nei confronti di lavoratori e residenti... Accedi per continuare la lettura

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