Ripercorriamo insieme gli ultimi anni della produzione del grande scrittore Lev Nikolaevic Tolstoj (1828-1910), tra pagine di alta letteratura e interessanti spunti di riflessione sul concetto di legge morale e sulla condizione dei lavoratori.

Alla fine degli anni Settanta dell’Ottocento Lev Nikolaevic Tolstoj (1828-1910) scrive ancora racconti e alcuni capolavori letterari (Resurrezione, 1889-1899; Sonata a Kreutzer, 1891) ma si dedica prevalentemente alla produzione di saggi e scritti teorici nei quali tratta del potere. Pratica il lavoro manuale e il vegetarianesimo cercando di adeguare il proprio modo di vivere a precetti cristiani di semplicità.

Nei primi anni Ottanta Tolstoj scrive della sua intensa ricerca religiosa a partire dalla lettura del Vangelo: Confessione (1880), Unificazione e traduzione dei quattro vangeli (1880-1881), La mia fede (1884). Il censimento di Mosca del 1882 diviene un’occasione per affrontare la grande questione sociale. In Che fare? (1882-1886), espone le sue impressioni su quell’esperienza: la diffusa accettazione dell’idea che sia lecito sfruttare il lavoro altrui, il denaro come strumento del potere, la corruzione portata dall’uso del denaro nella mente dei lavoratori.

Negli anni Novanta, la riflessione di Tolstoj si rivolge prevalentemente al tema della guerra e del militarismo e scrive Il regno di Dio è in voi (1893).

Nell’estate del 1900 pubblica La schiavitù del nostro tempo. L’idea di fondo che comprende una critica definitiva del marxismo è che una parte dell’umanità non è mai uscita da una condizione servile; una forma di schiavitù non viene eliminata prima che si creino le condizioni perché se ne affermi una nuova e adesso l’aggiornamento riguarda la divisione del lavoro. Tolstoj scrive di questi stessi princìpi direttamente ai lavoratori con L’unico mezzo (1901); secondo lui i lavoratori avrebbero dovuto esercitare la libertà negativa, la disobbedienza. Appena ne avessero avuto la possibilità, avrebbero dovuto rifiutarsi di lavorare per i capitalisti, di lavorare con un basso salario, di prestare servizio militare, di fare i doganieri o i poliziotti. Soltanto l’obbedienza alla legge divina, la sola comune a tutti gli esseri umani, può liberare dall’obbedienza delittuosa allo Stato ed è realmente rivoluzionaria. Nello scritto Al popolo lavoratore (1902), Tolstoj ripropone le sue teorie suffragate da quelle di Henry George (1839-1897; economista statunitense, autore, nel 1879, di Progress and Poverty), presentandole come le uniche in grado di portare immediatamente la pace nelle campagne e di avviare la giustizia nell’ordinamento sociale evitando così l’angoscia per la violenza rivoluzionaria e l’orrore per la repressione . Il primo agosto 1905 appare a Londra sul The Times “The Great Iniquity, un appello di vasta risonanza, in cui espone la teoria e il rimedio di George e denuncia la congiura del silenzio. Nel 1906 ritorna sulla questione della terra in Appello ai Russi e scrive l’introduzione all’edizione russa di Social Problems, del 1883, di Henry George. A questi temi Tolstoj dedica tutte le energie dei suoi ultimi anni. Ne Il sogno, inserito in una serie di bozzetti di vita contadina, Tre giorni al villaggio (1909), ribadisce che “fino a che l’atteggiamento verso la proprietà privata della terra non cambierà, la crudeltà, la follia, il male di questa forma di schiavitù non saranno mai abbastanza condannati”.

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