Epidemiologia&Prevenzione

Elenco dei commenti

Ricordo di Enzo

18/03/2024 10:49 - adele seniori costantini

Ho lavorato per alcuni anni a Firenze con Enzo nel settore dell'epidemiologia occupazionale e dei registri di patologia associati al lavoro. Ricordo la sua intelligenza, vivacità, il suo entusiasmo, la sua dedizione a un'epidemiologia al servizio dei lavoratori, il suo interesse per un'epidemiologia che cogliesse gli aspetti umani, antropologici, sociali. Ricordo che portava nel suo ufficio quintali di testi e documenti che gli permettevano di approfondire la conoscenza sulle condizioni di lavoro, sulla vita dei lavoratori, di quelle "coorti" di cui si studiava l'incidenza di malattia. Le sue pubblicazioni parlano in tal senso. 

Non sempre, come capita, siamo stati d'accordo sulle priorità da affrontare e gli argomenti da sviluppare, ma ho sempre apprezzato il suo pensiero libero e lungimirante.

Ho avuto modo di conoscere Enzo anche al di fuori dell'ambiente di lavoro, dato che il mio compagno ha vissuto a casa di Enzo e della sua famiglia per diversi mesi; abbiamo quindi potuto apprezzare il suo modo di essere, di vivere, il suo "stile" e soprattutto la sua amicizia, generosa e leale.  

 Adele Seniori Costantini

Firenze, 18 Marzo 2024

Commento a Il Capolavoro

Re: Evoluzione del lavoro nella storia

04/03/2024 11:24 - Alberto Baldasseroni

Come curatori della rubrica suggeriremmo i seguenti testi che possono rispondere, almeno in parte, alle aspettative:

1) Nel sito dell'editore Castelvecchi è possibile acquistare i volumi della "Storia del Lavoro" usciti di recente. Lì si trova veramente tutta la storia del lavoro dagli esordi in tempi storici (Età greco-romana), al Medioevo, all'Età Moderna, fino a quella contemporanea. Abbiamo scritto per i due volumi dedicati ai tempi più recenti, dei saggi che descrivono la salute al lavoro.

2) Per il periodo che va da Ramazzini a Devoto ('700-'800) è consultabile il nostro testo "Malati di lavoro", reperibile su Academia.edu

3) Per un'approfondita analisi del testo di Ramazzini si può consultare il libro di Franco Carnevale "Annotazioni su De Morbis" edito da Polistampa.

4) L'articolo della rivista "Ricerche storiche" 2012, n.3 Archeologia del lavoro: la salute dei lavoratori in Italia attraverso immagini simbolo dell'800 e del 900

Commento a Il Capolavoro

Evoluzione del lavoro nella storia

03/03/2024 18:20 - Stanio Loria

Mi interesserebbe un testo che affronti il tema dell'evoluzione storica del lavoro, anche attraverso le testimonianza letterarie e artistiche e gli accadimenti che hanno riguardato la salute e la sicurezza del lavoro e lo sviluppo delle conoscenze mediche e scientifiche. Questa interessante opera mi pare che segue questa impostazione ma, non essendo io un insegnante bensì un medico, e non avendo un interesse didattico bensì una intenzione solo di studio e conoscitiva, mi piacerebbe di più un testo libero da schede finalizzate a progetti didattici. Molto mi piacque "Mal da lavoro" che però mi ricordo che partiva dall'epoca del lavoro industriale. Comunque grazie di tenere questa rubrica che seguo e leggo sempre con molto interesse. Saluti

Non si può semplificare la complessità

22/02/2024 09:52 - Ambrogio Aquilino

Mi sono occupato del problema dei tempi d'attesa sin dal 2004, partecipando alla stesura dei primi tre piani nazionali per il governo dei tempi d'attesa e dei conseguenti piani regionali nella mia regione. La definizione di un metodo di monitoraggio nazionale dei tempi di attesa per i percorsi diagnostici dei pazienti con patologie oncologiche e cardiopatie ischemica (di cui sono, anamnesticamente, un grande esperto) è stato affidato a me nel Progetto Mattoni e, successivamente, adottato dal MS, dopo una sperimentazione con il gruppo di lavoro sui Tempi d'Attesa presso Agenas, di cui è stato responsabile l'ottimo dr. Liva.

Penso che, se un direttore generale volesse dotarsi di una bussola e, contemporaneamente, di un cruscotto fedele per orientare e valutare le sue scelte di governo e di gestione su una quota rilevantissima dei processi organizzativi della ASL, dovrebbe senza dubbio scegliere la questione delle liste d'attesa.

In essa confluiscono una moltitudine di processi, che impattano sia sulla visione che si ha dell'approccio all'erogazione dei LEA, sia sulla missione di ciascuna delle componenti professionali e organizzative.

Ed è per questa ragione, quindi, che inorridisco quando leggo interventi di pseudo esperti o rivoluzionari politici del popolo, sempre alla vigilia di scadenze elettorali, che banalizzano e semplificano la questione, proponendo soluzioni sempre sul versante dell'offerta di prestazioni, mai su quello della domanda. Tutta la letteratura internazionale è concorde sul fatto che agire solo incrementando la quantità di prestazioni da offrire, senza governo degli accessi, induce nuova domanda e peggiora i tempi di attesa. D'altra parte, come sottolineato da Cislaghi, è molto complicato definire correttamente il fabbisogno appropriato (domanda teorica) di prestazioni, anche perché, in genere, per calcolarlo si fa riferimento ad un'analisi dell'offerta storica, fortemente condizionata da elementi distorsivi. La concessione dell'accreditamento per le prestazioni ambulatoriali sulla scorta del fabbisogno reale e della sua localizzazione resta uno degli aspetti irrisolti, tanto che nella definizione degli accordi contrattuali la definizione dei vincoli orientati al contenimento delle liste d'attesa è quasi assente o generica (quantità e qualità di prestazioni da erogare, inserimento nelle agende del CUP, rispetto dei criteri di priorità...).

Una parola chiave, per affrontare questa complessità, è "prendersi cura".

In una situazione ideale, ad esempio, se funzionassero adeguatamente gli screening oncologici per la prevenzione secondaria e se i soggetti a rischio non fossero abbandonati al loro destino nei meandri del percorso diagnostico terapeutico, ma immediatamente presi in carico e inseriti in processi di gestione appropriata del problema clinico, una delle componenti delle liste, forse la più dolorosa, sarebbe controllata. Si eviterebbero duplicazioni di indagini, pellegrinaggi e perdite di tempo di cura.

Per quanto riguarda l'analisi della domanda, più in generale, le liste di attesa, in base alle analisi fatte anche a livello regionale nel corso dei monitoraggi periodici, sono composte per circa il 60% da richieste di visite/esami di controllo, per la maggior parte per pazienti con patologie croniche e noti al sistema, mentre l'altro 40% per persone che accedono per la prima volta nel SSN per situazioni destinate a risoluzione ovvero che esitano nel riconoscimento di una patologia a lunga decorrenza.

Il Governo della domanda, quindi, dovrebbe essere garantito, per i pazienti cronici che accedono per controlli periodici, con modelli organizzativi di presa in carico dai Mmg e di gestione dei Pdta con lo/gli specialisti di riferimento. Ancora una volta prendendosi cura.

In Puglia abbiamo sperimentato con grande successo un modello organizzativo di C&DM (Progetto Leonardo e Programma Nardino), in cui un infermiere care manager affianca il team di cura per assicurare l'effettiva realizzazione del piano di cure dei pazienti cronici presi in carico, sulla scorta di LG di riferimento EBM per patologia. Per questi pazienti, l'uso di agende dedicate serve ad affrontare in modo efficiente ed appropriato i tempi di attesa (in Puglia abbiamo osservato una riduzione significativa nei distretti dove il modello di Care Management era diffuso), anche con una riduzione dei ricoveri. Soprattutto, serve a garantire migliori livelli di cura.

Per i primi accessi diagnostici, il tempo di attesa non può essere determinato come in salumeria con il salva coda. È necessario assolutamente utilizzare criteri clinici condivisi per determinare chi ha priorità d'accesso rispetto ad altri. Nè deve scandalizzare il fatto che in molti casi sia ragionevole attendere molti giorni per problemi senza rischio di evolutività. In regione, in un progetto di ricerca ex art 12, anni fa verificammo che circa il 70% di richieste di RMN della colonna erano inappropriate per motivazione e classe di priorità. In alcuni casi, anche dopo poco tempo di attesa, i pazienti non erano in grado di ricordare esattamente il motivo della richiesta, peraltro assente nell'impegnativa. 

Il ricorso ai RAO (raggruppamenti d'attesa omogenei) è stato l'ultimo impegno in Ares Puglia prima di andare in pensione, nel 2013. Quel documento fu proposto nella speranza che potesse servire a migliorare l'appropriatezza prescrittiva, essenziale per il governo della domanda di prestazioni, soprattutto nel primo accesso. Anche perché i MMG accampavano come scusante alla mancanza di scelta di priorità il fatto che non esistessero indicazioni omogenee di riferimento, da utilizzare anche come strumento "burocratico" per contenere la pressione dei pazienti.

Per questo fu adottato il modello dei Rao. All'epoca, la percentuale di impegnative con indicazione di una classe di priorità ed un sospetto diagnostico per il primo accesso era pari a circa il 3%. Quale sia oggi non lo so, ma temo che non lo sappia nessuno e, ahimè, non interessi a nessuno.

Sul versante dell'offerta di prestazioni, ovviamente, valgono tutte le considerazioni di Cesare Cislaghi e dipendono dalle capacità e potenzialità organizzative dei servizi. Purtroppo, queste sono fortemente condizionate e complicate dal progressivo smantellamento del SSN.

Ma tutti i politici hanno una ricetta semplice e sicura per la soluzione del problema. Problema, invece, complessissimo.

LEA e salute

05/02/2024 19:48 - Stefania Salmaso

Ripercorrere le tappe dell'introduzione e delle modifiche dei livelli di assistenza sanitaria che da "uniformi" sono diventati "essenziali" e dopo 20 anni dalla loro adozione sono ancora regolarmente disattesi in molte regioni (quasi tutte al Sud) mi sembra doveroso anche per tentare di immaginare che riuscita potrebbero fare i LEP evocati a garanzia contro disuguaglianze nell'eventuale autonomia differenziata su 23 materie diverse.  

Parlare di adempimento dei LEA potrebbe sembrare solo un problema burocratico se non fosse che il loro non rispetto va di pari passo con profili di salute sfavorevoli. Sembra assurdo che si ritenga accettabile una differenza di speranza vita molto diversa tra le regioni e una mobilità sanitaria che non fa altro che incrementare i finanziamenti di chi riesce a curare meglio gli assistiti a scapito di regioni meno attrattive.  

Mi sembra importante continuare a parlarne.  

Autonomia differenziata

05/02/2024 08:34 - Isabella Mastrobuono

Buongiorno Cesare. Leggo da tempo commenti sull'autonomia differenziata ed ovviamente si dice tutto ed il suo contrario. Parto da una riflessione personale basata sulla mia vita professionale che da 5 anni si svolge in sanità nella Provincia autonoma di Bolzano, per eccellenza la più autonoma realtà italiana perché governata da leggi speciali, tanto da essere evocata come possibile modello per risolvere la questione ucraina. Conosco questa realtà da oltre 25 anni e posso certamente affermare che nelle materie come i trasporti e la mobilità piuttosto che l'energia, l'ambiente, questa ricchissima provincia italiana ha fatto molto ma se tocchiamo i temi della ricerca o della sanità allora le cose si complicano, e non poco. Per anni la Provincia è risultata ultima nella griglia LEA non solo perché non trasmetteva i flussi informativi, ma perché non li produceva efficacemente e regolarmente. Il costo delle prestazioni è altissimo ed il bilancio sfiora il miliardo e 600 milioni con anche un aumento del debito negli ultimi anni. Per alcuni indicatori la provincia va bene ma per altri è davvero in difficoltà. E poi tanto autonoma non è visto che ultimamente la Consulta ha bocciato i concorsi di 52 primari perché non condotti secondo le leggi nazionali e il TAR ha cancellato la delibera di conferma del Direttore generale per cui è stato nominato un commissario. Il PNRR poi ha introdotto regole ferree per le missioni ed in particolare per la missione 6 di cui sono la referente unica di parte (responsabile per la Presidenza), regole che uniformano a livello nazionale le procedure di esecuzione dei lavori e l'adozione dei regolamenti e leggi locali. Esattamente all'opposto della PA di Bolzano vi è quella di Trento che ha un grado di autonomia appena inferiore: prima spesso su tutti i fronti sanitario, sociale etc. Cosa vuole dire questo? Che non sappiamo a dire il vero cosa succederà nelle regioni ordinarie per tutte le materie esclusa la sanità dove il LEP non sono affatto definiti (che migliorino i trasporti? Magari). Per la sanità ci sono i LES e da qui non si scappa ed esiste il nuovo sistema di monitoraggio con oltre 80 indicatori: voglio proprio vedere cosa succederà e se sarà possibile revocare l'autonomia se gli indicatori non fanno emergere miglioramenti. Ecco perché in PA di Bolzano si corre... Rimane la questione risorse del fondo sanitario nazionale e come vengono distribuite!!!! A presto

Altri interventi interessanti

02/02/2024 21:55 - Cesare Cislaghi


Oltre ai graditi commenti al mio post qui inseriti, ci sono sul web molti altri interventi interessanti e tra questi vi segnalo quelli pubblicati da “Forward”, progetto de Il Pensiero Scientifico: [https://forward.recentiprogressi.it/it/il-progetto/about/]  Può sorprendere che le valutazioni sull’autonomia differenziata siano alquanto differenti e vanno dal pericolo che favorisca una sorta di secessione a che invece permetta di trovare  della soluzioni per migliorare la sanità. Ho la sensazione però che non tutti abbiano in mente lo stesso scenario, e questo perché per il momento si possono ipotizzare diverse modalità con cui l'autonomia verrà implementata. Quindi credo sia importante evidenziarne i pericoli e invece, se ci sono, coglierne le opportunità cercando di farle fruttare. E ... speriamo in bene!

Autonomia o bisogni di salute differenziati?

01/02/2024 14:13 - Salvatore Scondotto

Il modello di autonomia differenziata è frutto ancora una volta della visione economicistica che pervade, direi pesantemente , la sanità nel Paese da alcuni decenni, nel momento in cui il finanziamento dei servizi sanitari regionali viene parametrato sulla base di standard che nulla hanno a che vedere con i reali bisogni di salute, questi sì da differenziare all’interno della popolazione. L’emergenza pandemica ad esempio ha messo in evidenza tutti i limiti di un approccio che per lungo tempo ha privilegiato il pareggio di bilancio nel momento in cui sono venute alla luce le carenze, in particolare di risorse umane, sul territorio, a cui si è dovuto frettolosamente porre rimedio. Si fa un gran clamore, a parole, in documenti di programmazione di livello centrale sulla necessità di programmi di intervento improntati all’equità mentre di contro, sul piano legislativo, si perseguono logiche che non tengono conto delle differenze in termini di esiti di salute tra regioni e sulle modalità per ridurle. Eppure disponiamo ormai di svariati indicatori sintetici che potrebbero esprimere in maniera efficace lo stato di salute della popolazione e che potrebbero essere introdotti per mitigare l’effetto di politiche di distribuzione del fondo sanitario ispirate a parametri economici. L’epidemiologia valutativa (e i professionisti del settore) potrebbero fornire un valido contributo al riguardo. Purtroppo sappiamo bene quanto tempo sia stato necessario per iniziare ad introdurre il concetto di deprivazione socioeconomica tra i criteri di riparto e non si può essere ottimisti sulla eventuale ricorso ad ulteriori misure riassuntive dei bisogni di salute a livello regionale, dato lo scarso livello di sensibilità sul tema registrato persino all’interno dello stesso tavolo tecnico di confronto interregionale. Programmare per obiettivi di salute oggi si può, pur tenendo conto dei vincoli di natura economica imposti dalle regole della sostenibilità, ma la voce della sanità pubblica, e di chi per professione se ne occupa, è percepita molto lontanamente dalla politica che privilegia l’economia, in un settore, quello sanitario, che dovrebbe viceversa tenere conto di particolari prerogative.

Un divario incolmabile

31/01/2024 21:40 - Ambrogio Aquilino

Per immaginare come sarà il diritto costituzionale alla salute all'epoca dell'autonomia differenza (AD), è utile capire come ci si arriva. In particolare, in relazione a ciò che rimane dei principi cardine a cui si è ispirato il movimento riformatore che ha portato all'approvazione della 833 ed, in secondo luogo, alle disparità ”strutturali” tra sistemi sanitari delle regioni del nord vs quelle del sud.

Quanto alla prima questione, ha ragione Tommaso Fiore che c'è stata una progressiva derubricazione ("svalorizzazione") del concetto di diritto alla salute. Da principio assoluto su cui orientare tutte le scelte, con riferimento a categorie filosofiche di stampo razionalistico ("La salute in tutte le politiche"), si è man mano transitato verso una condizione di esigibilità "relativa" di tale diritto (attraverso i LEA), assoggettata a criteri pragmatici di compatibilità, soprattutto di carattere finanziario.

La modifica dell'assetto istituzionale, dalla Usl alla Asl, ha comportato la progressiva emarginazione del ruolo di governo delle comunità locali (i Comuni) e delle organizzazioni del lavoro, con alcune conseguenze rilevanti: 1. non c'era più un luogo di democrazia rappresentativa della civitas dove governare le politiche per la salute; 2. la funzione di controllo sulla garanzia dei diritti è stata genericamente assegnata a forme di partecipazione diretta dei cittadini (art. 14 della 502), sostanzialmente fallimentare; 3. la visione preventiva per la tutela della salute è progressivamente scemata, se non quasi scomparsa. A proposito, un indicatore simbolico: provate a fare una ricerca della parola 'rischio' a partire dal testo della 833 e progressivamente nelle principali norme successive. All'inizio era associata al concetto di prevenzione del rischio professionale/ ambientale, oggi esclusivamente a quello di gestione del rischio clinico.

Durante gli anni del finanziamento pro capite alle regioni, con ripiano centrale dei deficit a consuntivo, in fondo c'è già stata una prima sperimentazione di "autonomia", tenuto conto del fatto che le regioni del centro nord hanno avuto una capacità di spesa più rilevante rispetto a quelle del sud, con il risultato di aver strutturato i propri sistemi sanitari regionali in maniera ben più robusta (sia per dotazioni strutturali/ tecnologiche sia di personale). E questo grazie, soprattutto, alla presenza in quelle regioni sia di una più radicata cultura dell'organizzazione sanitaria, sia di una classe politica di governo ben più preparata e robusta (tanto da aver costruito forti e condizionanti gruppi di potere all'interno dei partiti della prima repubblica, ma questa è un'altra storia).

Alla vigilia del Trattato di Maastricht (con gli impegni a garantire il Patto di stabilità), del d.lgs. n. 56 del 2000 (con il superamento del finanziamento secondo il vecchio meccanismo della spesa storica), e della modifica del Titolo V della Costituzione, che ha riformulato l’art. 119 Cost. e che ha assegnato alle regioni la responsabilità di governo della spesa, ciò che rileva è che a questa nuova stagione del SSN, iniziata con il nuovo millennio, si è arrivati senza alcuna visione equitaria, universalistica e solidaristica del diritto alla salute per tutti e già con un profondo squilibrio tra regioni del nord e del sud, per condizioni strutturali, prima ancora che per disponibilità di risorse finanziarie disponibili.

Con ciò che si sta disegnando con il processo di autonomia differenziata, viste le premesse che ho sinteticamente tracciato e considerate le prospettive indicate dagli altri interventi, non vedo alcuna speranza per le regioni del sud e per le loro popolazioni di poter aspirare al diritto costituzionale di tutela della salute, anche se potessero disporre della migliore classe politica e dei più competenti tecnici per la gestione dei servizi.

 

Autonomia differenziata? Si può

31/01/2024 16:13 - CARLO ZOCCHETTI

Preliminarmente si tratta di decidere se vogliamo parlare di autonomia differenziata in astratto, prefigurandone potenziali pregi e difetti, ovvero se ne vogliamo discutere con riferimento al testo appena approvato al senato e che deve ancora completare il suo percorso parlamentare.

Mi spiego con un esempio concreto: il finanziamento. Nel primo caso (astratto) si possono indicare (come nei contributi che mi hanno preceduto) i rischi che il finanziamento nel contesto dell’autonomia differenziata possa portare all’aumento delle differenze tra nord e sud, tra regioni ricche e regioni povere, o i benefici anziché i rischi; nel secondo caso (concreto) non si parla del finanziamento e quindi il rischio o beneficio (astratto) configurato è solo una ipotesi da tenere in considerazione. E per proseguire nell’esempio: è possibile una autonomia differenziata che, in termini di finanziamento, eviti (o riduca) le differenze attuali tra regioni? Sempre solo a titolo di esempio ricordo che circa un quarto di secolo fa Formigoni (allora al suo primo mandato da presidente ed all’alba della riforma della sanità lombarda) propose una versione di autonomia differenziata che non prevedeva spostamento di risorse aggiuntive tra regioni, autonomia che per ragioni di primariato politico venne bocciata proprio dalla Lega di Bossi che riteneva di essere stata scippata di un proprio cavallo di battaglia.

Ciò premesso, e con l’obiettivo (astratto) di allargare il dibattito ma anche consapevole che per ogni argomento si possono trovare soluzioni (concreto) che massimizzino i pregi e minimizzino i difetti (o che trovino un accettabile compromesso tra pregi e difetti) provo sinteticamente a mettere sul tavolo qualche (astratto) opportunità che il tema della autonomia differenziata può offrire.

Un primo gruppo di argomenti riguarda il tema della efficienza e della qualità delle prestazioni erogate. Ci si chiede: per le materie per le quali viene attivato il principio della autonomia le regioni possono essere più efficienti dello stato nella erogazione dei servizi? E possono erogare servizi con maggiore qualità? A questo livello di argomenti tutto si gioca quindi sulla capacità di buon governo delle regioni rispetto allo stato, cioè sul fatto che una regione (ad esempio senza intervenire su una diversa distribuzione delle risorse) risulti capace di amministrare una determinata competenza in maniera migliore rispetto a come lo fa lo stato centrale. E’ una scommessa che la regione fa con lo stato sulla sua capacità di dar vita ad una scuola, una sanità, un altro servizio, che sia migliore (rispetto al modo con cui lo fa lo stato centrale). E’ una scommessa dove l’autonomia spinge le regioni ad essere virtuose, ad essere migliori, perché si tratta di una sfida dove chi rischia è la regione stessa: a vincere o a perdere in questo caso è la regione (e di conseguenza i suoi cittadini).

Un secondo gruppo di argomenti ha a che fare con il tema della sussidiarietà, intesa come tentativo di far corrispondere il livello della risposta sociale, politica e amministrativa con il livello dell’interesse e/o del bisogno del cittadino. E’ l’idea di prossimità e di vicinanza al bisogno, più facilmente esercitabile da chi (pubblico o privato, non profit o profit, individuo o associazione, …) al bisogno è più vicino. Ed è un principio di intervento che non riguarda solo il rapporto tra il livello regionale ed il livello centrale ma, soprattutto per le regioni più grandi (Lombardia, Emilia Romagna, …), si applica anche a livelli di aggregazione inferiori (ASL, Distretti, …), al fine di evitare di riproporre a livello di regione il centralismo che si intende superare a livello di stato centrale.

Se al cuore del SSN si pone la centralità della persona, il criterio sussidiario è particolarmente adatto nella organizzazione, erogazione e gestione dei servizi sanitari e sociosanitari (oltre che sociali). Ad esempio, può trovare facile applicazione nella costruzione di reti di prossimità aiutando ad individuare esperienze (e competenze) distribuite sul territorio che possono essere valorizzate e proficuamente usate per la cura a domicilio del paziente fragile. Sempre ad esclusivo titolo di esempio, la Assistenza Domiciliare Integrata (ADI) può essere erogata in forme e modalità che si caratterizzano localmente, sfruttando le diverse opportunità esistenti nei singoli territori. La scelta sussidiaria è capace di coinvolgere nei servizi sanitari e sociosanitari il volontariato, che ha dimostrato di saper intervenire in situazioni diverse anche complesse. E così via con gli esempi. Non sono le occasioni che indirizzano verso la applicazione di un approccio sussidiario che mancano: mancano invece gli strumenti legislativi (normativi) che permettano di individuare e di favorire l’implementazione di soluzioni sussidiarie. La realizzazione del PNRR (case ed ospedali di comunità, …) e le proposte possibili sul tema della autonomia differenziata, ad esempio, se stiamo sul livello nazionale, offrono l’opportunità di introdurre strumenti favorevoli alla adozione di interventi sussidiari; ma anche a livello regionale si possono individuare forti soluzioni normative.

Un terzo gruppo di argomenti ha a che fare con i Livelli Essenziali di Prestazioni (LEP). Su questo punto l’esperienza della sanità ha molto da insegnare, ma a mio modo di vedere l’insegnamento più importante che ne deriva è che i LEP (o meglio i LEA nel linguaggio sanitario) non hanno nulla a che fare con l’autonomia differenziata. Concepire i LEP come parte del progetto di autonomia differenziata sarebbe come dire che in sanità questa autonomia è già stata realizzata perché di fatto i LEA ci sono già da tanti anni. Come per i LEA, i LEP (ed anche i costi standard) saranno senza dubbio uno strumento interessante che se non prenderà esempio dalle magagne e dai problemi già sperimentati in sanità non farà altro che riprodurli in tutte le altre materie.

Da ultimo, ma solo per necessità di sintesi, sempre prendendo spunto dall’esperienza sanitaria sarà fondamentale pensare ad un sistema di monitoraggio e valutazione, sistema che preveda non solo di misurare ma anche di identificare azioni da intraprendere all’esito della valutazione.

Comunque si valutino la attuale situazione di eterogeneità territoriale del SSN e le sue cause potenziali, è evidente che la sanità ha molto da insegnare a proposito di autonomia differenziata, nel bene o nel male: sarebbe un grave errore non tenerne conto. In questa direzione non mi sembra che la attuale versione del “Decreto Caldiroli” faccia un passo avanti.

Certo il tema dell’autonomia differenziata si inserisce in un contesto più generale, e rimaniamo esemplificativamente solo al tema sanità, costituito da tanti problemi (inutile ripetere l’ennesimo elenco) che dimostrano l’eterogeneità territoriale che caratterizza il nostro paese: in questo contesto è possibile pensare ad una autonomia che garantisca i principi fatti propri dal SSN (universalità, uguaglianza, equità), e oggettivamente spesso in pratica oggi disattesi anche se non siamo in regime di autonomia differenziata, in maniera migliore rispetto alla situazione attuale? Non si tratta di essere ottimisti ovvero pessimisti ma io credo che questa possibilità esista.

Che poi questa possibilità sia veicolata dal cosiddetto “Decreto Calderoli” quando (e se) uscirà dall’iter parlamentare sarà tutto da vedere: allo stato attuale, e se lasciamo perdere la polemica politica tra contrapposti schieramenti, a me sembra di poter dire che il percorso previsto sia molto lento e lungo, quasi si voglia preferire “sventolare una bandiera piuttosto che garantire forme concrete di maggiore competitività ed autonomia” (Cattaneo, Tempi, 27/1/2024).

 

 

Carlo Zocchetti

31 gennaio 2024

 

 

Mogli e buoi dei paesi tuoi?

31/01/2024 15:00 - MARCO

"Mogli e buoi dei paesi tuoi" recita un vecchissimo proverbio ad indicare che ogni area ha caratteristiche, usi e bisogni diversi.
Proverbio indubbiamente valido se riferito a macro aree molto diverse tra loro (pensiamo ai land tedeschi dove hanno perfino confessioni religiose diverse) ma poco più che folcloristico in realtà come quella italiana dove, ad ascoltar bene, nemmeno i dialetti esistono più.
Il sospetto quindi è che la sbandierata autonomia sia solo un modo per non condividere risorse e moltiplicare poltrone e poltroncine.
La sanità come altre istituzioni (penso principalmente a sicurezza ed istruzione) devono beneficiare di una certa elasticità locale per aderire meglio alle esigenze ma non possono prescindere da un controllo/coordinamento centrale che ne ottimizzi i costi e purtroppamente (come direbbe un comico) garantisca almeno un livello accettabile di minimo.
Consigli? Ho solo il buon senso (che notoriamente non porta voti): tagliare gli sprechi ed il malaffare non i fondi.
Sembra di assistere ad una di quelle pantomime politiche tristemente abituali; l'acquedotto ha troppe perdite? Affianchiamogli un servizio di acqua in bottiglia privato porta a porta al 50% a carico del consumatore ed al 50% a carico dello stato. Così il povero non beve ma, in compenso, contribuisce alla spesa del ricco.
Utopia? Forse si ma sarebbe bello

PIÙ AUTONOMIA SOLO SE PIÙ RESPONSABILIZZAZIONE

31/01/2024 12:00 - Gianni Giorgi

Le posizioni preliminarmente ideologiche mi lasciano sempre perplesso soprattutto di fronte all'evidente degrado o involuzione dell'Istituzione Regione, del Ministero della Sanità e, in generale, di molti servizi pubblici.

La Sanità è sicuramente la principale competenza e il terreno in cui le Regioni - piccole e grande, in ogni caso molto diverse - danno prova della capacità o meno di Governo del Servizio Sanitario Nazionale già da alcune di esse declassato a Sistema Sanitario Regionale.

Il rapporto tra salute, sanità (intesa come apparato e regole di funzionamento) e politica è condizionato, se non determinato, dai corporativismi (vedi caso MMG), dalle cordate e dalle clientele che fanno passare in second'ordine l'efficacia e la qualità del servizio pubblico da assicurare. 

Per questo ritengo che, preso atto da parte di tutti della legge approvata dal Parlamento, l'attuazione dell'utonomia differenziata possa essere anche l'occasione di un cambiamento se viene perseguito con tignosità e metodo il principio: AUTONOMIA SOLO SE PIENA RESPONSABILIZZAZIONE DEL PIENO FUNZIONAMENTO DEL SERVIZIO PUBBLICO ALLE VARIE COMUNITÀ LOCALI.

A questo fine serve una vera AUTORITY nazionale indipendente in grado di gestire il dispositivo di responsabilizzazione con accertamenti e commissariamenti sia di tutto il territorio regionale, sia di parti di esso.

UNA SFIDA PER LA SANITÀ? 𝗟𝗔 𝗗𝗜𝗦𝗨𝗚𝗨𝗔𝗚𝗟𝗜𝗔𝗡𝗭𝗔 𝗘𝗖𝗢𝗡𝗢𝗠𝗜𝗖𝗔

31/01/2024 09:29 - Donato

Nelle ultime cinque decadi, negli USA si è verificata una significativa trasformazione socioeconomica. Il dato emergente è la contrazione della classe media e l'aumento dei redditi alti.

Questo fenomeno, che non colpisce solo i singoli individui ma anche diverse regioni geografiche, si caratterizza per variazioni di reddito medio familiare che toccano picchi come nel District of Columbia (127.629$) e valli in Mississippi (62.802$).

Anche la salute risente di queste differenze. L'aspettativa di vita varia drasticamente in base allo stato e alla classe economica, con quasi 10 anni di scarto tra alcuni stati.

Questi dati sollevano, a mia opinione, una questione cruciale su cui la politica dovrebbe riflettere: può l'autonomia differenziata prevenire o mitigare simili disparità? E dovrebbe farlo pensando che questo non andrà ad incidere solo sui modelli di telefonini che i cittadini potranno permettersi ma sulla loro aspettativa di vita.

Se è vero, però, che sta alla politica scegliere che modello di Paese darsi (certamente non ad un tecnico come me) osservando cosa succede negli Stati Uniti devo/dobbiamo ipotizzare cosa succederà nel prossimo futuro anche nel nostro Paese.

Secondo me dovremmo chiederci seriamente ed urgentemente che meccanismi di garanzia dei LEA adottare in uno scenario di autonomie differenziate.

Le regioni ricche diventeranno sempre più ricche ed aumenteranno anche le regioni povere. Come ce la gestiamo per evitare che siano ancora più evidenti le disparità sull'aspettativa di vita?

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Preghiera della serenità

«Dio, concedimi la serenità di accettare le cose che non posso cambiare, il coraggio di cambiare le cose che posso, e la saggezza per conoscere la differenza.»

Ma gli attori della sanità pubblica cosa dicono?

30/01/2024 10:23 - Gaetano Privitera

Caro Cesare, non che prima fossi ottimista, ma la realtà supera le previsioni e sono seriamente preoccupato per gli indirizzi di governo e la sopravvivenza di una sanità pubblica più che residuale e lungimirante.

Dalla autonomia regionale che aumenterà le disuguaglianze e non permetterà livelli uniformi di prestazioni, all' attacco del piano pandemico e al ruolo dei vaccini con affermazioni sconsiderate sulla prevalenza della politica sull'evidenza scientifica,e il ministro della sanità costretto a fare ammenda dichiarando che di tratta di una bozza, per non parlare dell' ultima dichiarazione della lega sull'interruzione del finanziamento italiano alla organizzazione mondiale della sanità, che a loro dire non fa nulla per gli italiani, e che con quei soldi "si potrebbero fare ospedali". Ma nessuno gli ha mai sentito parlare di salute globale e del fatto che i problemi sanitari vanno affrontati in modo sistemico a livello mondiale - la pandemia non ha insegnato nulla?- si pensa di risolvere i problemi sociali, sanitari, ambientali, i rischi infettivi con il posto letto in più a Brembate?

Con l' età mi è forse calato l'udito ma non sento la voce dei rappresentanti della sanità pubblica che difendano con forza il suo ruolo. I tempi sono oscuri a livello planetario, ma nel nostro paese sono proprio neri, siamo al cupio dissolvi.

6 ragioni per cui autonomia differenziata legittimerà la frattura Nord-Sud

29/01/2024 22:11 - Nino Cartabellotta

La tutela della salute dovrebbe essere espunta dalle materie su cui le Regioni possono richiedere maggiori autonomie. Perché la loro attuazione finirebbe per legittimare normativamente il divario tra Nord e Sud, violando il principio costituzionale di uguaglianza dei cittadini nell’esercizio del diritto alla tutela della salute. Ed esistono almeno sei buone ragioni per farlo.

Primo. Il SSN attraversa una gravissima crisi di sostenibilità e il sotto-finanziamento costringe anche le Regioni virtuose del Nord a tagliare i servizi e/o ad aumentare le imposte per scampare al Piano di rientro. E guardando alla crescita economica del Paese, all’impatto atteso del nuovo Patto di Stabilità e all’assenza di misure concrete per ridurre evasione fiscale e debito pubblico, non ci sono risorse né per rilanciare il finanziamento pubblico della sanità, né tantomeno per colmare le diseguaglianze regionali. Inoltre, con l’autonomia differenziata le Regioni potranno trattenere il gettito fiscale, che non sarebbe più redistribuito su base nazionale, impoverendo ulteriormente il Mezzogiorno.

Secondo. Il Comitato istituito per definire i livelli essenziali delle prestazioni (LEP) ha ritenuto che non sia necessario assolvere tale compito in materia di salute, perché esistono già i LEA. Una pericolosa scorciatoia, visto che il DdL Calderoli rimane molto vago sul finanziamento oltreché sulla garanzia dei LEP. Ed è evidente che senza definire, finanziare e garantire in maniera uniforme i LEP in tutto il territorio nazionale è impossibile ridurre le diseguaglianze regionali. 

Terzo. In sanità il gap tra Nord e Sud è sempre più ampio da configurare una vera e propria “frattura strutturale”, come dimostrano sia i dati sugli adempimenti ai LEA sia quelli sulla mobilità sanitaria. Il monitoraggio 2021 dei LEA documenta infatti che delle 14 Regioni adempienti solo 3 sono del Sud (Abruzzo, Puglia e Basilicata) e tutte a fondo classifica: alla maggior parte dei residenti al Sud non sono dunque garantiti nemmeno i LEA. E queste diseguaglianze alimentano il fenomeno della mobilità sanitaria: nel 2021 € 4,25 miliardi scorrono prevalentemente dalle Regioni meridionali verso Emilia-Romagna, Lombardia, Veneto, le Regioni che hanno già sottoscritto i pre-accordi per le maggiori autonomie e che complessivamente raccolgono il 93,3% dei saldi attivi. Di conseguenza, l’attuazione di maggiori autonomie in sanità nelle Regioni con le migliori performance sanitarie e maggior capacità di attrazione inevitabilmente amplificherà le diseguaglianze già esistenti.

Quarto. Le maggiori autonomie già richieste da Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto ne potenzieranno le performance sanitarie e, al tempo stesso, indeboliranno ulteriormente quelle delle Regioni del Sud, incluse quelle a statuto speciale. Alcuni esempi: la maggiore autonomia in termini di contrattazione del personale provocherà una fuga dei professionisti sanitari verso le Regioni più ricche in grado di offrire condizioni economiche più vantaggiose, impoverendo ulteriormente quelle del Sud; così come l’autonomia nella determinazione del numero di borse di studio per scuole di specializzazione e medici di medicina generale determinerà una dotazione asimmetrica di specialisti e medici di famiglia. Ancora, le maggiori autonomie sul sistema tariffario, di rimborso, remunerazione e compartecipazione rischiano di rendere i sistemi sanitari regionali delle entità con regole proprie, sganciate anche da un monitoraggio nazionale, agevolando anche l’avanzata del privato.

Quinto. Nonostante gli entusiastici proclami sui vantaggi delle maggiori autonomie anche per le Regioni del Sud, in sanità è certo che non ne esistono affatto per una ragione molto semplice. Essendo tutte, Basilicata a parte, in Piano di rientro o addirittura commissariate (Calabria e Molise), non si trovano nelle condizioni di poter avanzare la richiesta, visto che i Piani di rientro di fatto “paralizzano” dal punto di vista organizzativo i sistemi sanitari regionali.

Sesto. Il PNRR, sottoscritto dall’Italia e per il quale abbiamo indebitato le future generazioni, persegue il riequilibrio territoriale e il rilancio del Sud come priorità trasversale a tutte le missioni. Ovvero, l’intero impianto normativo del Ddl Calderoli contrasta il fine ultimo del PNRR, che dovrebbe costituire un'occasione per il rilanciare il Mezzogiorno, accompagnando il processo di convergenza tra Sud e Centro-Nord quale obiettivo di crescita economica, come più volte ribadito nelle raccomandazioni della Commissione europea

Riforma del titolo V della Costituzione

29/01/2024 21:43 - Ennio Cadum

Quando nel 2001 venne varata la riforma del titolo V della costituzione con impulso alle autonomie regionali, il principio era quello di un padre che invece di coprire le spese dei figli alla fine di ogni mese, decise di dare una cifra fissa ad ogni figlio/a, in modo che si regolassero da soli. L'autonomia venne principalmente sviluppata nel sistema sanitario e nacquero i sistemi sanitari regionali, uno diverso dall'altro.

Negli anni successivi ci furono figli virtuosi che seppero amministrare la "paghetta" e figli negligenti che continuavano ad andare in debito chiedendo al padre (o madre) di ripianare i conti. Poi arrivarono i LEA per dare un minimo di uniformità di prestazioni nazionali da garantire, con obbligo delle regioni di raggiungere i livelli prestazionali previsti. Anche qui ci sono state regioni che hanno fatto il possibile per raggiungere l'obiettivo e regioni che non li raggiunsero mai, ne' all'inizio ne' in seguito.

Il gradiente sia per l'uso del Fondo Sanitario Nazionale sia per il rispetto dei LEA è nord-sud, con poche eccezioni.

La riforma in discussione può solo portare ad un approfondimento del divario esistente, con le regioni virtuose che avranno di più e le regioni meno attrezzate che avranno ancora meno. Se si vuole parlare di equità abbiamo davanti un sistema che genera disequita'.

Ho maturato la convinzione che siano gli amministratori dei sistemi regionali i responsabili della situazione, con i politici corresponsabili in pari modo. Non si spiega perché regioni in cui le aziende sanitarie non arrivano al 50% del LEA premino i loro direttori come se avessero raggiunto il 100% degli obiettivi.

Se tanto mi dà tanto questa riforma aprirà ancora di più il divario tra nord e sud e la migrazione alla ricerca di migliori cure aumenterà notevolmente.

 

Ciò che resta della Riforma

29/01/2024 18:03 - Tommaso Fiore

Cosa cambierà con l’autonomia differenziata in sanità? Le Regioni “differenziate” non avranno più bisogno di defatiganti trattative con lo Stato per assumere un po’ di personale, ma smonteranno quello che resta dei contratti collettivi dei lavoratori nel settore e metteranno le mani sulle mutue integrative. Non molto. Del grande disegno riformatore della 833, la Riforma del ’78, non rimane già nulla. La sanità è stato il campo di battaglia in cui si sono fatte le manovre preparatorie per il gran finale, ha costituito il banco di prova del regionalismo, il primo esempio di derubricazione di diritti fondamentali a “livelli essenziali” di prestazione, l’avvio della aziendalizzazione dei servizi pubblici, la sperimentazione del federalismo fiscale. Una storia che parte dall’istituzione delle Regioni, passa attraverso lo scioglimento degli Enti Mutualistici, la nascita nel ‘78 del Servizio Sanitario Nazionale, la modifica aziendalistica del ’92, in piena fase ideologica di primazia del mercato, i correttivi del ’99 della Bindi, tracimando poi nella riforma del Titolo V della Costituzione (2001): è sorprendente che sia del tutto sfuggito alla società civile il carattere emblematico della vicenda sanitaria, quasi che fosse confinata a un corpo separato, e non prova generale di un disegno più o meno consapevole di nation-debuilding.

Ci siamo appena lasciati alle spalle la pandemia: nessun osservatore di buon senso potrebbe dire che il “Sistema” ha funzionato. La confusione nella catena di comando è stata evidente, l’impreparazione altrettanto. Nel rimpallo di responsabilità, la mortalità elevatissima. E di essa non si ha, caso unico al mondo, una stratificazione per condizione sociale e lavorativa, per condizioni abitative o di reddito. Meglio non sapere. Dopo la fase di affidamento ai Comuni, che costituì un grande esperimento democratico purtroppo naufragato tra lottizzazione e voto di scambio, le Regioni conquistarono trent’anni fa la gestione della sanità. Ad esse fu affidato il compito di amministrare la competizione tra Aziende organizzate e strutturate per attrarre consumatori, in un primo esperimento di trasformazione di un pubblico servizio in una struttura tesa al profitto. La 502 del ’92, la “riforma della riforma”, fu appunto questo ircocervo che coniugò un nuovo centralismo al riconoscimento del mercato come supremo regolatore. L’ideologia che si andava affermando in ogni campo trovò uno spazio di applicazione di grande rilevanza economica, con effetti subito evidenti di gerarchizzazione delle cure, di spostamento delle attività verso quelle più remunerative, di approfondimento delle diseguaglianze territoriali (e regionali). Le Regioni praticarono il terreno che avevano guadagnato con grande determinazione, cercando di scrollarsi di dosso definitivamente il residuo di controllo statale. Vanno così interpretati sia i tentativi di abolizione del Ministero della Sanità, che in quegli anni trovarono ascolto in Bassanini e nella sua furia anticentralista, sia il progressivo impoverimento delle capacità tecniche dell’organo centrale e degli Istituti ad esso connessi. La scoraggiante performance italiana davanti al Covid è derivata anche da questo. E, ovviamente, dalla non robustezza di un sistema modellato su criteri di efficienza aziendalistica.

Il D. L. 229 del ‘99 (la c.d. “legge Bindi”) tentò di rimediare riconoscendo la necessità di erogare “livelli essenziali e uniformi di assistenza”, definiti attraverso un piano nazionale adeguatamente finanziato, ma non smontò l’assetto aziendalistico e regionale del sistema. I LEA (la parola “Uniformi” era rapidamente sparita dal lessico) furono individuati nel 2001 con un semplice DPCM!

Oggi la legge Bindi è ricordata non per aver avviato un percorso di riduzione delle diseguaglianze ma solo per aver meritoriamente costretto i medici dipendenti a un rapporto di lavoro esclusivo e per aver sciaguratamente riaperto le porte alle mutue integrative, che oggi contano 14 milioni di iscritti (quella dei metalmeccanici si chiama Metasalute, un nome evocativo di un vecchio film di Elio Petri). L’idea dei Livelli fu peraltro riversata nella modifica del Titolo V della Costituzione, su cui vale il lapidario giudizio di Gianni Ferrara (“monumento di insipienza politica e giuridica”).

Insomma, non si capì, non si volle capire e si fa finta di non capire neanche adesso che il concetto stesso di “livelli essenziali” riduce il significato e la portata del principio di eguaglianza.

Comment

19/01/2024 12:10 - Rodolfo Saracci

I agree with the soundly based methodological arguments by Berrino et al. In particular they attempt to take care and remove the immortal time bias as far as the data available in the published paper  by Flacco et al. permit: this might itself affect indication bias if this is present because of non-random occurrence of vaccination in the population, as often is the case (Remschmidt et al. Frequency and impact of confounding by indication and healthy vaccine bias in observational studies assessing influenza vaccine effectiveness. BMC Infectious Diseases 2015; 15 : 249). Adjusting for indication bias while taking care of the immortal time bias could be done on  the original individual data by e.g. variants of Cox’s analysis (Karim ME et al. Comparison of statistical approaches for dealing with immortal time bias in drug effectiveness studies. Am J Epidemiol 2016 ; 184 : 325-335). More generally vaccine effectiveness and adverse effects studies may be particularly well suited to the multi-state models approach of analysis (1.Andersen PK.Multi-state models for event history analysis. Stat Methods Med Res 2002 ;11 : 91-115. 2. Martinuka O et al. Target trial emulation with multi-state model analysis to assess treatment effectiveness using clinical Covid-19 data. BMC Medical Research 2023; 23 : 197).

Rodolfo Saracci, Lyon
saracci@hotmail.com

Una essenziale richiesta del rispetto del diritto alla salute

29/12/2023 16:50 - Daniele Pallotta

Ringrazio il professor Cesare Cislaghi, che pubblica ancora una volta un articolo mirato a tutelare un diritto di tutte e tutti, ossia il diritto alla salute. Il professore scrive nella piena consapevolezza delle esigenze e delle contingenze che la società  richiede in termini di lavoro e altre necessità e propone alcune minime misure essenziali ad arginare almeno in parte i contagi: le autorità dovrebbero emanare un "invito" all' isolamento per 4 -5 giorni delle persone risultate positive al covid e l' "invito" per tutte e tutti ad indossare mascherine nei luoghi chiusi ed affollati. Perchè tale invito sia accolto almeno da una parte della popolazione, che in gran parte considera il covid un raffreddore o semplicemente non vuole pensarci, sarà dunque necessaria una campagna di informazione sulle conseguenze attuali per l' organismo, dei contagi covid e sulle conseguenze a lungo termine del long covid. Negli U.S.A., in Gran Bretagna, Australia ed altri Paesi le informazioni  riguardo contagi, a ricoveri decessi covid ed effetti del long covid, anche nei telegiornali nazionali, sono da tempo periodicamente aggiornate, molto più che in Italia. Se un' intensa campagna informativa di sensibilizzazione in Italia (qualora dovesse essere avviata, considerato che da oltre un anno e tuttora è lasciato alla responsabilità dei singoli cercare informazioni su alcune testate giornalistiche o agenzie di comunicazione) non dovesse essere sufficiente a far seguire almeno ad una parte delle persone quei comportamenti (peraltro non troppo impegnativi e limitati ai periodi di alta circolazione dei contagi) raccomandati dal professor Cislaghi, la comunità scientifica tutta dovrebbe interrogarsi sul fare raccomandazioni congiunte ai governi affinchè ripristinino, per periodi di tempo limitati, l' obbligo per legge di isolamento (anche per pochi giorni) per le persone positive al covid e l' obbligo di indossare mascherine nei luoghi chiusi ed affollati, a partire da tutti i presidi ospedalieri e dai mezzi di trasporto pubblici. Le persone anziane e le persone immunodepresse rischiano seriamente ricoveri o decessi, e tutti noi rischiamo il long covid, che può essere una condizione debilitante. Cerchiamo di avere rispetto dei valori della salute. Il personaggio di Marta interpretato dall' attrice Fiorenza Marcegiani nel film "Ricomincio da tre" diceva rivolgendosi al compagno Gaetano, interpretato da Massimo Troisi: "Quando c'è l' amore c'è tutto" "- e Troisi replicava: "No, chella è 'a salute".

E in alcuni casi non è cosi' lieve come si dice

29/12/2023 14:36 - Salvatore Scondotto

Ho contratto nuovamente il covid in questi giorni dopo avere fatto pure la quinta dose. Nella mia esperienza, contrariamente alla precedente,  questa volta il decorso non sembra proprio banale come si tende a far credere. Sintomi pesanti con febbre mal di gola astenia disturbi respiratori  catarro e tosse . Insomma molto più che una semplice influenza. Roba sufficiente per mettere fuori uso per alcuni giorni soggetti nel pieno dell'attività lavorativa per non parlare di anziani e fragili. Francamente ne avrei fatto a meno.  Personalmente ritengo che tutte le malattie infettive a trasmissione diretta o aerea andrebbero prevenute con un minimo di precauzioni nella vita sociale specie in occasioni come le festività che implicano un gran numero di assembramenti.  Anche un raffreddore apparentemente banale può essere impegnativo per chi soffre di malattie croniche respiratorie.  E ' una questione di sensibilita' ed educazione ( anche sanitaria ) non essere fonti di diffusione dei contagi. Figuriamoci il covid di cui ancora forse non sappiamo tutto

 

Ma ci auspichiamo uno Stato Etico hegeliano?

25/11/2023 09:01 - Cesare Cislaghi

Ma per favore lasciamo stare Hegel di liceale memoria! E lo stato etico è tutt'altra cosa ... forse non deve lo stato vietare di rubare o di uccidere? O di avere comportamenti che rubano la salute o compromettono la vita altrui? Non deve vietare di guidare se si è bevuto troppo? Non deve vietare di fumare in ambienti pubblici? Ecc.? Lo stato deve proteggere la libertà e la libertà non è libertà di contagiare bensi libertà di non essere contagiati. Vorrei poter vivere senza subire troppe aggressioni, anche subendo il meno possibile di contagi.

Ma ci auspichiamo uno Stato Etico hegeliano?

24/11/2023 14:28 - Francesco CUCCARO

Onestamente molte delle posizioni espresse mi sembrano auspicare l'instaurazione di uno "stato etico": ulteriori obblighi, sanzioni, autodenunce obbligatorie, invocazione di responsabilità penali, indagini sulla prevalenza degli asintomatici. Se da un lato è condivisibile la volontà di non abbassare la guardia, dall'altro personalmente ritengo che le misure di prevenzione debbano ricadere in primis nell'ambito della responsabilità individuale sorretta da una corretta e documentata informazione che includa anche una disamina delle esternalità negative di ogni misura (es. effetto dell'uso obbligatorio delle mascherine nele scuole e apprendimento e sviluppo dell'affettività; regole di ingresso dei parenti nelle RSA e senso di isolamento degli ospiti; ritardi diagnostico/terapeutici in caso di semplice positività in asintomatici; e si potrebbero fare molti altri esempi). Tra tutte le misure proposte quella che mi sembra foriera di massimi risultati, a fronte di un basso impatto coercitivo sulla popolazione, è l'areazione dei luoghi chiusi, in primis le scuole. Saluti, Francesco

 

in ricordo di Giovanni Bissoni

23/11/2023 11:50 - CARLO HANAU

Ringrazio Marina per il ricordo che ha fatto.

Aggiungo soltanto che nel 2000 Giovanni Bissoni ha avuto il coraggio di varare il programma regionale sanitario aggiungendovi alcune pagine sull'autismo che andavano contro l'opinione diffusissima della madre frigorifero come causa dell'autismo del figlio.

Carlo Hanau

Studio di prevalenza indispensabile

19/10/2023 07:58 - Tommaso Fiore

Il peggioramento apparentemente inarrestabile della qualità dei dati disponibili non consente una valutazione dell'andamento della epidemia, e conseguenti decisioni ragionare di salute pubblica. È vero che la pressione sugli ospedali è in questo momento molto bassa, ma guai ad attendere che diventi significativa; tutti dovrebbero averlo capito. L'approccio proposto dall'articolo, cioè l'esecuzione di uno studio di prevalenza, sembra l'unica via con impatto economico modesto e con possibilità di orientamento nella fase.

La pandemia, dice il Ministero , è in fase Inter pandemica

18/10/2023 22:12 - Ennio Cadum

I dati che valutiamo indicano una riduzione netta dei tamponi positivi nel 2023. Questi tuttavia sono in gran parte sommersi, quelli fatti a domicilio non risultano, e le norme attuali che non prescrivono nessun isolamento rendono non necessario effettuare dei tamponi.

Per cui i dati 2023 soffrono di ampi bias e non sono confrontabili con gli anni precedenti in cui le norme erano diverse.

Cosa si può confrontare? La punta dell'iceberg cioè la mortalità e i ricoveri in ospedale per caso acuti.

Questi non soffrono di bias.

 

Sono simili al 2022, 2021, 2020?

I dati presentati indicano che c’è una riduzione della mortalità e una riduzione dei ricoveri per acuti.

Ma la riduzione non è così rilevante, anche se il trend pluriennale è in discesa.

Il ministero ha dichiarato ufficialmente una fase interpandemica, cioè una fase di fine della pandemia.

 

In realtà i dati non depongono per il una fase interpandemica, ma per una lenta decrescita.

 

Sinceramente, data la campagna vaccinale effettuata, mi sarei aspettato di più.

In sintesi il mio modestissimo parere è che non ne siamo fuori e l’inverno potrà riservarci sorprese.

Considerare il Covid alla stregua del raffreddore di stagione, con libera circolazione di chi ha il raffreddore o ha il Covid, è una scelta politica, non scientifica come eravamo abituati prima dell’elezione di questo governo che ha deciso in un senso molto preciso.

Grazie Cesare per questa continua analisi dei dati.

 

 

Domande che partono dalla Scienza per ragionare su scelte etiche

06/10/2023 13:48 - Daniele Pallotta

Grazie al professor Cesare Cislaghi ed ai curatori di "Epidemiologia e Prevenzione". Le domande che il professore pone in questo articolo sono un modo utile per fare riflettere tutte e tutti noi sulle scelte da prendere partendo da rilevazioni scientifiche e dati di realtà. Dovrebbero essere soprattutto i decisori politici a leggere queste domande e a dare risposte. La comunità scientifica ritengo che dovrebbe collaborare più attivamente e cercare insieme soluzioni da proporre alle autorità politiche. Anche tutte e tutti noi cittadini dovremmo interrogarci sull' etica delle nostre scelte quotidiane. Ad esempio dovremmo cercare di aggiornarci periodicamente sui rischi di poter essere contagiati e di contagiare, sia in termini di probabilità sia di rischi per la salute, non solo legati a ricoveri e decessi, ma anche alla condizione del long covid, che può far peggiorare a lungo la qualità personale della propria vita e per la quale trattatamenti che valgano sicuramente in modo efficace per tutti sono ancora in fase di ricerca. 

Grazie ancora al professor Cislaghi e noi lettori diamo diffusione ad articoli seri e lungimiranti come i suoi affinché le persone possano almeno interrogarsi (nonostante la comprensibile stanchezza e stress derivanti da anni di pandemia) sull' opportunità di tenere almeno comportamenti minimi di precauzione, come indossare le mascherine in luoghi chiusi ed affollati ed usare il gel disinfettante per le mani.

 

microbiologi o epidemiologi?

22/09/2023 18:22 - L.P.

Essendo stato un addetto ai lavori, ho sempre tenuto presente quanto appreso nella formazione universitaria: la buona politica e il buon governo (che comunque esistono solo in teoria) si fondano sul principio del conoscere per decidere. Tuttavia, passando dalla teoria alla pratica si può anche scendere al livello più prosaico ma concreto delle buone scelte. Ma, un decennio dopo l’altro, siamo scesi di molti gradini. E’ indubbio che la primazia delle scelte sia della politica che deve comunque avvalersi di elementi conoscitivi adeguati che le/ci consentano di misurarne i risultati in termini di efficacia ed efficienza. Ma da tempo mi sembra l’interesse generale sia ridotto a interesse di bottega (e dei bottegai). Talvolta poi il tutto viene disseminato su un fertile terreno di coltura composto da sub cultura, disinformazione e ideologia, adeguatamente trattato con robuste dosi di information overload/infodemia (cfr. Giancarlo Manfredi, Infodemia. I meccanismi complessi della comunicazione delle emergenze): troppe informazioni = nessuna informazione. I risultati di tale processo sono amplificati dalla breve memoria che affligge il Paese. E siccome la democrazia è una forma di governo basata sulla legittima prevalenza della maggioranza, qualunque cosa ciò comporti, per un cambiamento bisogna solo avere fede nell'esistenza dell’intelligenza collettiva di Levy e che i media ne favoriscano lo sviluppo attraverso l'intelligenza connettiva di De Kerkhove. Però da qualche anno, guardando l'orizzonte a 360 gradi, mi vengono sempre più spesso in mente il titolo di un libro, “La prevalenza del cretino”, e di un’opera, “I Masnadieri”. E qui rimango confuso perché rimane il fatto che un masnadiero può anche decidere di fare qualcosa di onesto mentre con il cretino non c'è scampo. Se poi il masnadiero è anche cretino… Chi poi sia il cretino o masnadiero dipende sempre da un punto di vista soggettivo o da chi inveisce per primo. Quanto all'attendibilità dei dati, stabilire i criteri per determinarla vuol dire creare una buona ricetta ma il bottegaio ristoratore che vuole utilizzarla sa bene che non tutti hanno i medesimi gusti, che i gusti cambiano con i tempi e quindi deve reinterpretarla per portare i clienti al proprio locale sottraendoli al ristoratore che ha la propria bottega di rimpetto. Per concludere: mi auguro che in futuro a parlare sia più la statistica degli epidemiologi che la microbiologia dei virologi: invece di un overload information sulle mutazioni della Spike (a fronte delle quali il singolo non può fare alcunché), forse sarebbe più utile avere ipotesi sull’evoluzione del quadro: rendere pubblica una previsione, anche di banale tipo IFTTT, ne consentirebbe la verificabilità anche da parte dei non addetti ai lavori (spingendoli magari a comportamenti consapevoli) e sarebbe comunque sempre dirimente e responsabilizzante per chi sceglie o meno di avvalersene.

commento al post di cislaghi

21/09/2023 16:48 - antonio panti

Cislaghi pone ancora il problema del rapporto tra scienza e politica sul quale, durante la pandemia, credevamo di aver fatto qualche passo avanti. Non è così e la situazione peggiora perché il Governo e il mainstream che ne esonda e il consenso della gente, tutto ci porta a dire che abbiamo cambiato schema di gioco. Il quadro dei valori costituzionali è incrinato e la ricerca continua del nemico non consente quella valutazione corretta e quella acquisizione completa dei dati che sono alla base del discorso scientifico e della prassi della democrazia. In una sorta di infanitlismo reazionario è come se il Governo sostenesse che il covid è di sinistra o almeno che preoccuparsene è inopportuno. In questo momento crdo che sia importante, al di là delle battaglie culturali, spingere i medici perché convincano più persone possibile a vaccinarsi.

Prendiamoci le nostre responsabilità

21/09/2023 16:36 - Donato

Dovremmo scegliere una postura tra

1. Abbiamo una Poltica che sta dettando l'AGENDA SETTING

2. Abbiamo una Politica che cerca di intercettare le opinioni per farsene portavoce

Se optiamo per la prima allora dobbiamo accettare che nel bene e nel male la maggioranza degli ITALIANI stia decidendo che non lasciarsi distrarre dalla pandemia sia la cosa giusta da fare e vota coloro i quali propongono questa visione.

Se invece la politica intercetta la opinioni allora il problema è della società civile che rispetto a questo tema è distratta. Questa opzione, in sintesi, responsabilizza molto le RETI SOCIALI E PROFESSIONALI che possono condizionare l’agenda setting.

Prendiamoci la responsabilità di dire la nostra opinione.

Nel caso in cui si pensi che la politica stia dettando l’agenda, daremo conferma che si sta facendo la cosa giusta o tuteleremo coloro che ora sono una minoranza. 

Nel caso in cui si pensi, invece, che la politica intercetti le opinioni allora tutti dovremmo nel nostro quotidiano trovare il proprio modo per condizionare le opinioni delle nostre reti professionali e sociali.

Problematiche relative alla ripresa del Covid

21/09/2023 16:30 - Nicla Sambvani

Penso che in tema di prevenzione Covid uno dei primi problemi da affrontare attualmente sia la "stanchezza" della popolazione rispetto al problema dopo aver vissuto blindati in casa un periodo molto difficile. Riuscire a coinvolgerli ancora con raccomandazioni e vaccinazioni non sara' facile.

Nicla Sambvani

 

Ci hanno ascoltato

21/09/2023 16:09 - Stefania Salmaso

In seguito al nostro post, i colleghi dell'Istituto Superiore di Sanità, hanno chiesto e ottenuto dal DPO competente di pubblicare i valori esatti del numero di decessi Covid. Ringraziamo i colleghi che sono stati sensibili all'osservazione e hanno reagito positivamente collaborando a rendere più chiari i dati epidemiologici.

 

La qualità della assistenza e della spesa sanitaria.

01/09/2023 19:27 - Vittorio Carreri

Penso che l'articolo sia condivisibile. Penso che tuttavia non sia secondaria anche la necessità di spendere meglio gli oltre 124 miliardi di euro che nell'ultimo anno si spenderanno per il SSN. I pilastri del SSN devono tornare ad essere tre: I Dipartimenti di Prevenzione, I Distretti, Gli Ospedali. Oggi anche in Lombardia l'entificazione è abnorme e disfunzionale. Le ASL devono contenere la prevenzione, la diagnosi, la terapia, la riabilitazione. Tutte le persone hanno diritto ad avere gratuitamente le prestazioni di cui  ai tre Livelli Essenziali di Assistenza: prevenzione collettiva e sanità pubblica, assistenza distrettuale, assistenza ospedaliera. Le ASL di norma non devono superare 500.000 persone. Di norma il riferimento potrebbe essere il territorio delle Amministrazioni Provinciali. Semplificare, semplificare, semplificare. Vittorio Carreri, medico igienista.

Appendice supplementare

11/08/2023 16:27 - redazione

Il riferimento è ai Supplementary materials di The Lancet:
Supplementary appendix
Supplement to: Knuppel A, Papier K, Key TJ, Travis RC. EAT-Lancet score and major
health outcomes: the EPIC-Oxford study. Lancet 2019; published online June 21.

che trova a questo indirizzo:

https://www.thelancet.com/cms/10.1016/S0140-6736(19)31236-X/attachment/57de137e-0436-49a0-8ba2-3f468654543c/mmc1.pdf

 

Qual è la situazione del monitoraggio covid in Italia?

09/08/2023 20:49 - Cesare Cislaghi

Gentile lettore del Blog,

da giorni anch'io sono molto perplesso su ciò che sta accadendo perché il dato dei contagi notificati è cresciuto di molto; da una lenta decrescita sino a metà luglio si è poi passati ad una crescita più intensa:

n. contagi
3.405  dal 25/7 al 20/7
4.129  dal 21/7 al 27/7 (+21%},
5.742  dal 28/7 al  3/8  (+39%}.                      

E quindi ovvio che non posso che rimanere ancora più perplesso della decisione del Governo di eliminare l'obbligo di isolamento per i contagiati. Sembra infatti che non solo in Italia la circolazione del virus abbia ripreso vigore ma sembra stia accadendo anche in diversi altri paesi. Sarà una variante più contagiosa? sarà una suscettibilità nuovamente aumentata? sarà l'assenza di qualsiasi misura precauzionale?

Ciò che mi preoccupa maggiormente però, è la mentalità ormai diffusa che l'epidemia sia finita e quindi "liberi tutti", ed il Governo, forse per aumentare il tasso di gradimento, ha ulteriormente rafforzato questa opinione.

Speriamo che quelle di questi giorni siano solo oscillazioni momentanee di un virus che sta per esaurirsi, perché se così non fosse ed invece stesse per arrivare una nuova vera ondata, allora non so proprio come potremo fare per gestirla e contenerla. E' chiaro che la politica del Governo sull'argomento è quella di non più intervenire e quindi l'unica speranza è che le persone sappiano e riescano ad avere loro maggiore responsabilità. Dovremo fare in tal caso una comunicazione il più possibile nitida ed incisiva appoggiandoci a quei media che tante volte ci hanno aiutato, e dovremo esser capaci di contrastare tutte quelle voci che diranno, non si sa perché, cose falsamente rassicuranti.

Non c'è che da sperare che il virus si accontenti dei guai che ha sinora combinato e presto se ne vada nonostante gli attuali impliciti inviti a restare.

Lindano

08/08/2023 09:11 - Amerigo Zona

Gentile Ingenito,

grazie per la sua risposta, che mi ha permesso di capire meglio il suo quesito, che non è una richiesta di chiarimenti sulla pubblicazione relativa al progetto SENTIERI, ma un auspicio relativo alla rivista di Epidemiologia e Prevenzione che ha pubblicato in passato ed anche quest'anno i risultati del Progetto.

Se desidera una risposta dalla rivista su pubblicazioni effettuate sul lindano dovrebbe rivolgersi alla Redazione.

La saluto molto cordialmente.

Dr. Amerigo Zona 

Dipartimento di Ambiente e Salute 

Istituto Superiore di Sanità, Roma