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Il 18 gennaio scorso a Melbourne (Australia), la città dove era nato 73 anni fa, è morto Jock William McCulloch. Professore di storia al Royal Melbourne Institute of Technology all’Università di Melbourne, nel corso della sua vita si è affermato come uno dei maggiori studiosi di storia della salute occupazionale della sua generazione.

Jock McCulloch inizialmente studia belle arti. Solo dopo diversi anni si iscrive, studente ormai maturo, alla Monash University. Nel 1978 porta a termine il suo dottorato con una tesi su Franz Fanon, psicoanalista, filosofo sociale e rivoluzionario delle Indie Occidentali, che segna la traccia per le sue ricerche future. Da Fanon, infatti, McCulloch deriva l’interesse per la storia della colonizzazione e le relazioni tra etnie e la psichiatria, temi sui quali avrebbe scritto diversi libri.

Nel corso della sua carriera, Jock Mc Culloch ha sviluppato un approccio internazionalista (come del resto multinazionali sono state le grandi imprese di cui si è occupato), ma il suo primo lavoro su medicina e salute occupazionale è incentrato sull’Australia. Si tratta di una monografia sull’agent orange (The Politics of Agent Orange, 1984) articolata secondo uno schema che avrebbe adottato in molte pubblicazioni successive: coinvolge, infatti, un agente chimico tossico (in questo caso, il defoliante usato nella guerra del Vietnam); l’impatto di tale agente sull’ambiente e sugli individui; il ruolo di governi e produttori. Un buon terzo del libro è dedicato alla storia della lotta dei reduci australiani per il riconoscimento, la comprensione e l’indennizzo per le patologie patite a causa dall’esposizione all’erbicida. Con linguaggio chiaro e non gergale, il libro mostra come gli interessi dell’establishment politico, economico, militare e della professione medica abbiano concorso a rovinare le vite di così tanti soldati inviati a combattere in Vietnam.

Il tema nodale di The Politics of Agent Orange – come di molti successivi lavori di Jock – è la giustizia sociale. Tanto che, sempre nel 1984, gli viene chiesto di redigere una storia della salute degli aborigeni per il "Social Justice Project" presso l’Australian National University. Un lavoro che lo conduce a una comunità di aborigeni a Baryugil, nel New South Wales, dove si trova una miniera di amianto, e dove Jock si rende conto che per comprendere quella piccola comunità è necessario esplorare la storia dell’industria dell’amianto in Australia (che coinvolgeva anche un’altra miniera, a Wittenoom). Il suo interesse è in linea con i tempi. Agli inizi degli anni Ottanta, infatti, l’amianto stava emergendo come un grave problema politico, legale e umano: i contenziosi mettevano in luce il ruolo dei principali produttori di amianto, come la compagnia australiana James Hardie, gli stessi archivi delle compagnie cominciavano ad aprirsi. Per parte sua, Jock capisce che il modo più efficace per difendersi da un tale disastro emergente (e dai problemi che ne sarebbero derivati) è poter contare su una forza lavoro vigile e un’opinione pubblica diffidente.

In seguito, in una lettera indirizzata a Laurie Kazan-Allen dell’International Ban Asbestos Secretariat a proposito di questo suo lavoro e della James Hardie, Jock afferma che l’azienda impiegava lavoratori aborigeni «in condizioni ritrovabili solo nel Sud Africa dell’apartheid». E confrontando la reputazione della compagnia prima e dopo la presa in esame dei suoi documenti, prosegue: «Nel 1984, James Hardie era una rispettata azienda australiana che aveva dominato il mercato dei materiali da costruzione per quasi un secolo. Ora probabilmente è la più vituperata impresa commerciale del Paese. Questo cambiamento è il risultato di procedimenti giudiziari che hanno mostrato la sua condotta predatoria nei confronti dei lavoratori, dei consumatori dei suoi prodotti e dei cittadini a cui ha arrecato danno. Uno dei risultati positivi è la migliore consapevolezza della comunità riguardo ai pericoli dell’esposizione all’amianto».

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Come molti studiosi che hanno lavorato sull’amianto, egli comprende che questa icerca non può avere una data di termine. Nei Ringraziamenti del suo libro successivo, Asbestos Blues (2002), racconta come è stato nuovamente coinvolto. Stava lavorando negli Archivi Nazionali del Sud Africa sulla storia dei crimini sessuali. «Era uno di quei monotoni pomeriggi familiari a tutti coloro che frequentano quei luoghi. Per passare il tempo digitai la parola “asbestos” nel catalogo e spuntarono più di seicento risultati. Dopo dieci minuti spesi a guardare una manciata di documenti, decisi di lavorare su questo libro». Asbestos Blues è un’analisi medico-legale dell’industria mineraria sudafricana dell’amianto. Sotto la lente del microscopio sono le miniere, la principale fonte al mondo delle fibre (blu) di crocidolite; i proprietari (principalmente multinazionali, come Cape Asbestos); le impoverite comunità di lavoratori di colore. Il libro è un capolavoro di accurata esposizione e ricerca, che intreccia materiale d’archivio, interviste e una profonda conoscenza del milieu Sudafricano. Per poter vedere di persona le miniere e intervistare proprietari ed ex lavoratori, infatti, Jock visita luoghi pericolosi. Una scelta per cui pagherà un prezzo salato. Alla fine degli anni Novanta, ispeziona diverse miniere nella zona di Northern Cape, dove il paesaggio è disseminato di scarti di fibre provenienti da lavorazioni abbandonate (e dove ancora oggi l’amianto contamina l’ambiente).

Asbestos Blues è un libro più cupo del corrispondente studio australiano: il mesotelioma da amianto aleggia minaccioso sugli eventi. In due impressionanti capitoli verso la fine del libro, Jock racconta come le compagnie di amianto, dapprincipio, abbiano commissionato le ricerche sul mesotelioma e successivamente, nei primi anni Sessanta, le abbiano interrotte. Nonostante l’essenzialità del testo, lo sgomento dell’autore per la connivenza dei medici, come Walter Smither, ufficiale medico di Cape Asbestos, è evidente. Asbestos Blues, tuttavia, viene pubblicato con un obbiettivo più edificante: la buona riuscita del contenzioso legale contro Cape Asbestos condotta dalla comunità di Prieska, alla quale il libro e i documenti a esso associati hanno fornito un importante contributo.

Conviviale, affabile e con i piedi per terra, Jock è l’opposto dello stereotipo dell’accademico. Ama viaggiare, soprattutto nel luogo da lui preferito per le sue ricerche, il Sud Africa. Partecipa regolarmente ai convegni di accademici e attivisti e fornisce personalmente aiuto a numerosi gruppi di vittime dell’amianto. Occasionalmente funge da consulente nei contenziosi, ma il suo interesse principale, in quanto accademico, sono i documenti (o “docs”, come li chiamava con affetto). Dopo aver ricevuto uno scrigno particolarmente ricco di tesori, scrive del «divertimento del semplice sfogliare i “docs”. Io amo i documenti». Il suo appetito nel collezionare e leggere materiale documentario, che ha riunito in un enorme archivio personale, è insaziabile.

Nel 2000, a un convegno di attivisti in Brasile, Jock conosce Geoffrey Tweedale (che aveva pubblicato uno studio sul gigante britannico dell’amianto Turner & Newall): i due concordano sulla necessità di uno studio globale sul disastro dell’amianto. Entrambi, infatti, erano rimasti colpiti dai nuovi dati, che mostravano come nel mondo la maggior parte dell’amianto fosse stato estratto dopo il 1960. Come era potuto avvenire, dopo la scoperta del mesotelioma anche in persone soggette soltanto a “esposizione ambientale”? Un libro scritto a quattro mani fornisce la risposta, esplorando le sofisticate (e spesso nascoste) tecniche con le quali l’industria dell’amianto ha costruito la propria poderosa azione di retroguardia.

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La monografia risultante, Defending the Indefensible, è ben corredata di “docs”. Gli autori riescono a combinare le proprie risorse documentali, come il vasto archivio T&N e i documenti della sudafricana Cape Asbestos. Il progetto beneficia dell’accesso all’ugualmente corposo archivio digitale di David Egilman (opportunamente integrato con i contributi di Barry Castleman e Albert Donnay). A Jock viene garantito anche l’accesso alle carte di Irving Selikoff al Mount Sinai Hospital di New York, il cui impatto sullo studio è importantissimo (il libro sarà dedicato alla memoria di Selikoff). Oltre a informare il testo, i documenti consentono agli autori di contrastare le calunnie e le distorsioni intorno alla persona di Selikoff, in parte generate dagli storici consulenti di parte per gli avvocati delle industrie dell’amianto.

McCulloch e Tweedale sono geograficamente agli antipodi durante le ricerche e la stesura del libro, e ciò richiede uno scambio di e-mail senza fine. Geoffrey Tweedale impara a sapere esattamente che ora sia a Melbourne se vuole ricevere una risposta rapidamente; impara anche ad accettare pazientemente che la squadra inglese di cricket venga massacrata dagli australiani (Jock amava il cricket e il football australiano, almeno tanto ferventemente quanto i documenti). Nel 2008, Defending the Indefensible viene insignito del Premio Wadsworth dal Business Archives Council in Gran Bretagna.

Nel frattempo, le prospettive di Jock in merito alla storia delle malattie occupazionali nelle miniere si erano ampliate, andando a includere la silicosi (e la concomitante tubercolosi). Un interesse derivato in parte dal fascino esercitato dall’esperienza lavorativa dei minatori americani e dei perforatori di gallerie, ma principalmente dalla propria esperienza nelle miniere d’oro in Sud Africa. Il campo d’indagine è simile a quello dell’amianto: consiste nella ricerca dei documenti, nel coinvolgimento delle multinazionali (questa volta angloamericane) e nella crescente consapevolezza del peso delle malattie occupazionali, che avrebbe presto raggiunto i tribunali. Dopo la pubblicazione di diversi articoli, Jock termina un altro libro incentrato sul ruolo giocato nella diffusione della silicosi dall’industria sudafricana di estrazione dell’oro. E mostra come tale industria, in collusione con una minoranza, abbia nascosto la pandemia di questa malattia per gran parte del XX secolo. Nel frattempo, i lavoratori tubercolotici venivano messi nella condizione di diffondere la malattia potenzialmente letale nelle comunità rurali sudafricane e nelle nazioni fornitrici di manodopera. Al 2000, ciò aveva provocato un tasso di malattia tra i lavoratori migranti neri cento volte superiore rispetto a quello ufficialmente riconosciuto.

Una volta in pensione, Jock viene nominato professore emerito e acquista casa a Flinders Island, dove intende continuare a scrivere. Nell’aprile del 2017, tuttavia, riceve la devastante diagnosi di mesotelioma. La sua reazione è di dedicarsi alla cyclette e ai suoi “docs” con rinnovata energia, nel tentativo di completare la bozza di un libro di approfondimento sull’industria estrattiva dell’oro in Sud Africa con l’intento di estendere la sua denuncia della collusione tra l’industria, lo stato Sudafricano e il British Colonial Office nella compravendita di forza lavoro. Jock crede che questa collusione abbia causato la diffusione della tubercolosi attraverso l’Africa meridionale. Con l’aiuto della sua compagna, Pavla Miller, riesce a finire la sua bozza, ma purtroppo non vive abbastanza per cominciare altri progetti che aveva pianificato. Come sua abitudine, però, trasmette un cumulo di materiale di primaria importanza su silicosi e asbestosi in Sud Africa e Australia ai suoi amici americani David Rosner e Gerald Markowitz. I documenti, come parte dei Project Toxic docs presso la Columbia University e la City University of New York, faranno sì che la sua eredità sia durevole nella ricerca e nelle azioni di advocacy.

Jock credeva che la sua esposizione all’amianto (virtualmente l’unica causa conosciuta del mesotelioma) quasi certamente avesse avuto luogo durante le sue ricerche per Asbestos Blues in Sud Africa vent’anni prima della diagnosi. Come gli eroici vigili del fuoco che rischiano la loro stessa vita pur di salvarne altre, Jock ha sacrificato la propria per visitare le polverose città minerarie alla ricerca della verità sull’amianto. È stata un’amara e crudele ironia che egli sia morto cercando di salvare gli altri proprio da quelle letali fibre di amianto che tragicamente hanno reclamato la sua stessa vita.

Gli autori ringraziano per la collaborazione: David Rosner, David Egilman e Gerald Markowitz

(Traduzione di Nicolò Terracini Klemenz)

Bibliografia

  1. Jock McCulloch. The Politics of Agent Orange: The Australian Experience. Richmond, Victoria, Heinemann, 1984.
  2. Jock McCulloch. Asbestos: Its Human Costs. St Lucia, Queensland, University of Queensland Press, 1986.
  3. In Memory of Jock McCulloch. International Ban Asbestos Secretariat, Jan 21, 2018. http://ibasecretariat.org/lka-in-memory-of-jock-mcculloc.php
  4. Jock McCulloch. Asbestos Blues: Labour, Capital, Physicians and the State in South Africa. Oxford, James Currey, 2002: p. xi.
  5. Jock McCulloch. e-mail to Geoffrey Tweedale, 27 March 2003.
  6. Jock McCulloch and Geoffrey Tweedale. Defending the Indefensible: The Global Asbestos Industry and Its Fight for Survival. Oxford, Oxford University Press, 2008.
  7. Jock McCulloch. South Africa’s Gold Mines and the Politics of Silicosis. Woodbridge, Suffolk, and Johannesburg, James Curry/Boydell & Brewer Ltd, 2012.
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