Riassunto

C’era una volta una rivista di scienza che veniva letta da duemila lettori al giorno. Tutto cambiò intorno a metà febbraio quando il pennino di quel sismografo che è Google Analytics cominciò a registrare prima saltelli, poi balzi, quindi una franca attività tellurica.

C’era una volta una rivista di scienza che veniva letta da duemila lettori al giorno. Tutto cambiò intorno a metà febbraio quando il pennino di quel sismografo che è Google Analytics cominciò a registrare prima saltelli, poi balzi, quindi una franca attività tellurica. Succedeva che lettori che mai si sarebbero avvicinati a una rivista come Scienza in Rete cominciavano ad affluire sempre più numerosi. L’epidemia dalla Cina si era spostata in Italia, più precisamente in Veneto e soprattutto in Lombardia, insomma da noi. Con noi intendo una comunità di persone che il caso voleva conoscessi, gli epidemiologi, vale a dire il corrispettivo del giornalista in medicina e sanità (non voletemene…).

Cominciarono istantaneamente ad arrivarmi via mail pagine e pagine che, una volta riportate sul sito della rivista, misero in moto il pennino delle letture, passate dalle 3.500 al giorno di febbraio alle 30.000 di marzo, alle 17.000 di aprile, 15.000 a maggio, 7.000 a giugno, 1.700 a luglio, 1.900 ad agosto, 4.400 a settembre. Mi spiace dirlo, ma in questi primi giorni di ottobre in cui sto scrivendo queste righe il pennino di Google ha ricominciato ad agitarsi.

Il fatto che la curva delle letture di Scienza in Rete segua dappresso i ricoveri in terapia intensiva credo sia la migliore illustrazione dell’Infodemia. Il termine, come noto, è stato coniato dall’Organizzazione mondiale della sanità nel Situation Report numero 13 del 2 febbraio 2020,1 da noi ripresa in un articolo il 9 febbraio e tradotto anche in cinese con l’aiuto di studenti dell’Università di Padova.2

È bene ricordare che l’infodemia indica una sovrabbondanza di informazioni che rende difficile distinguere quelle accurate da quelle inaccurate o volutamente false.3 A ben vedere quella sovrabbondanza bifronte ha riguardato tutto quanto era connesso all’epidemia: farmaci che funzionavano e altri no. Articoli scientifici prematuri, non per niente chiamati preprint, dove si trova robaccia, ma anche gemme. Modelli matematici fantasiosi che man mano si raffinavano al fuoco di infinite dispute e polemiche. Virologi che si azzuffavano sulla natura influenzale, similinfluenzale o piùccheinfluenzale della nuova infezione. Commercialisti che scoprivano la differenza fra R0 e Rt e commesse che grazie a Facebook potevano farsi un’idea della differenza fra la sanità veneta e quella lombarda (una ha il territorio l’altra gli ospedali) pur non avendo letto o forse sì l’articolo su Scienza in Rete che ha iniziato la disputa.4 L’accesa discussione pubblica sull’utilità e il danno dell’uso della mascherina al chiuso e all’aperto, con o senza valvola, di cotone o di seta. La deplorevole défaillance dell’immunità di gregge, che ha ridato legittimità al lockdown e inevitabilmente agli anti-lockdown. La “morte clinica del virus”, un modo colorito di spiegare il calo della mortalità negli ospedali a partire da metà aprile,5 teoria poi validamente contrastata dal terzo articolo più letto di Scienza in Rete.6 Per arrivare a discutere seriamente se pezzi di RNA possano teletrasportare la malattia a cavallo del particolato, sospinti dal vento come piumini di pioppo a primavera, di nuovo utilmente discusso dalla rivista:7 cosa diversa ma non troppo dallo sdoganamento dell’aerosol come mezzo di trasmissione del virus.

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A ben vedere, la cosiddetta infodemia, con la sua sovrapposizione quantistica del gatto vivo della verità con il gatto morto della bufala, è il normale processo di formazione delle opinioni nell’attuale infosfera.8 Certo, senza il filtro critico dei molti competenti che pure popolano i social e la rete, l’infodemia sarebbe stata solo spazzatura, e per certe bolle deprivate o depravate continua in buona parte a esserlo tuttora. Tuttavia, con la piena di informazioni, a mio avviso c’è stato anche un aumento di consapevolezza collettiva. A dire il vero non solo secondo me, visto che, a giudicare da un utile studio, COVID-19 ha fatto esplodere sia i messaggi falsi sia quelli affidabili, dove i primi sono il 5% del totale.9 Più in generale, e non certo con la sola minuscola Scienza in Rete, si sono gettate le basi della presa d’atto da parte di molti italiani della fallibilità ma anche dell’indispensabilità della medicina e di una robusta sanità pubblica. La comunicazione di massa ci ha fatto riscoprire le cosiddette “misure non farmacologiche” per contrastare malattie che si credevano ormai riservate ai Paesi poveri. Sono anche emerse le fragilità e le disuguaglianze che abbiamo in casa nostra – malati cronici, poveri, medici e infermieri in ospedali impoveriti e malsani, anziani rinchiusi nelle RSA,10 caduti come fanti nelle trincee di questa guerra e trasportati nottetempo su camion militari agli inceneritori senza il saluto dei parenti. È stata la riscoperta della morte, delle emozioni,11 ma anche dell’impegno, della competenza e, almeno durante la prima ondata epidemica, della solidarietà. Tutto questo ha drammaticamente cambiato segno nella seconda ondata, che ci si aspettava, ma a cui pochi credevano di tali dimensioni, facendo degenerare il clima sociale in astiose contrapposizioni, esasperate dalla fatica psicologica della richiusura e dalla paura della precarietà economica.

Questo clima diffuso di impotenza e di frustrazione ha contaminato anche molti esponenti della scienza che, trovandosi proiettati sul palcoscenico mediatico, hanno dato il peggio di sé, al punto da costringere gli uffici stampa di alcuni ospedali a scongiurare i colleghi della televisione di non invitare più virologi in trasmissione. Se l’infodemia ha un pregio, è quello di mettere a nudo i limiti di chi cerca di diventarne protagonista. In questo la comunicazione di massa è un Crono che divora i suoi figli.

La ricerca scientifica non è mai stata così al centro di interesse e, specularmente, di rifiuto. Considerando il 2020, i sondaggi di Observa hanno registrato prima la tenuta, quindi la sovraesposizione, infine l’erosione della fiducia della popolazione negli “esperti”. Ma se alcuni suoi singoli rappresentanti hanno fatto una cattiva pubblicità alla ricerca scientifica, forse questo ha aiutato tutti a capire che gli esperti non sono la scienza ma un suo feticcio, incapaci come sono di rappresentare una visione complessa dei fenomeni che pretendono di dominare.

La scienza come attività globale nel suo complesso ha mostrato di essere in grado di passare dal sequenziamento dei genomi virali alle prime dosi di vaccino nell’arco di un anno. Molto più problematica si è mostrata, invece, la sua capacità di monitorare e governare l’epidemia. Il 2020 ha rappresentato la catastrofe dei processi di intelligence che stanno a cavallo fra scienza e politica.12 Ma di nuovo l’infosfera ha spalancato le sue porte ai ricercatori, soprattutto quelli più a loro agio nei media sociali, che hanno dato vita, secondo alcuni commentatori, a una nuova forma di scrutinio diffuso della letteratura scientifica in tempo reale, a bocciature a tre giorni di distanza di articoli dalla pubblicazione su riviste prestigiose come The Lancet e New England Journal of Medicine, e a una crescita tumultuosa del fenomeno dei preprint.13 Il primo preprint su COVID-19 è stato pubblicato sul server bioRxiv il 19 gennaio, appena 20 giorni dopo che il governo cinese ha informato l’Organizzazione mondiale della sanità dei “casi di polmonite di eziologia sconosciuta rilevati a Wuhan”. A partire da settembre 2020, il repository Europe PMC ha indicizzato oltre 13.000 preprint relativi alla pandemia, laddove il numero totale di preprint su tutti i soggetti depositati in bioRxiv nel 2019 è stato di 26.535. A differenza del modello editoriale tradizionale – dove si stima che il tempo medio trascorso dalla presentazione alla pubblicazione sia di circa 125 giorni – i preprint sono generalmente resi accessibili entro 2-5 giorni dalla presentazione, a seconda del livello di screening che un server adotta.

Anche questo, tutto sommato, è conseguenza dell’attuale infodemia, che sta portando a maturazione la metamorfosi dell’editoria scientifica secondo il nuovo paradigma della open science.

Al momento è difficile valutare l’impatto che questo cambio di passo avrà sulla qualità delle ricerca scientifica.14 Certo è che una pandemia inaspettata ha cambiato le carte in tavola e ci costringe a ripensare tante cose, dai sistemi sanitari ai tempi e i modi dell’attività e della comunicazione scientifica.

Conflitti di interesse dichiarati: nessuno.

Data sottomissione: 09.10.2020
Data accettazione: 13.11.2020

Bibliografia e note

  1. https://www.who.int/docs/default-source/coronaviruse/situation-reports/2... sitrep-13-ncov-v3.pdf
  2. https://www.scienzainrete.it/articolo/2019-ncov-dobbiamo-proteggerci-anc...
  3. “An over-abundance of information — some accurate and some not — rendering it difficult to find trustworthy sources of information and reliable guidance.”
  4. https://www.scienzainrete.it/articolo/lombardia-e-veneto-due-approcci-co...
  5. https://www.scienzainrete.it/articolo/perch%C3%A9-si-muore-sempre-meno-d...
  6. https://www.scienzainrete.it/articolo/equivoci-virali/cesare-cislaghi/20...
  7. https://www.scienzainrete.it/articolo/inquinamento-e-covid-due-vaghi-ind...
  8. Floridi L. La quarta rivoluzione. Come l’infosserà sta cambiando il mondo. Milano, Cortinaeditore, 2019.
  9. Cinelli PM, Quattrociocchi W, Galeazzi A et al. The Covid-19 social media infodemic.Scientific Reports (nature).
  10. https://www.scienzainrete.it/articolo/nodo-irrisolto-dellepidemia-nascos...
  11. Si veda come esempio quel documento straordinario che è il libro a cura di Luisa Sodano Emozioni virali. Le voci dei medici dalla pandemia. Roma, Il Pensiero scientifico editore, 2020.
  12. https://www.ft.com/content/8e54c36a-8311-11ea-b872-8db45d5f6714
  13. Banks M. A lesson of the pandemic: all prints should be preprints. Undark 29.10.2020.
  14. https://www.scienzainrete.it/articolo/le-pubblicazioni-scientifiche-su-c...
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